MEDITAZIONE NELLA TERZA STAZIONE QUARESIMALE: ‘CREDO NELLA RISURREZIONE DI QUESTA CARNE’

10-03-2013


(1 Cor 15,35-53;  Lc 24,33-54 )


 


 


Il Credo di Aquileia si conclude con quest’ultima professione di fede: ‘Credo nella risurrezione di questa carne’. Essa proclama la speranza che sostiene la vita di ogni cristiano e di tutta la Chiesa. Se non abbiamo questa speranza, dice S. Paolo nella prima Lettera ai Corinzi: ‘Vuota è la nostra predicazione e vuota è la vostra fede … siamo da commiserare più di tutti gli uomini’ (15, 14.19).


Meditiamo brevemente su questa speranza che non riguarda solo noi ma anche tutti i nostri cari che la morte ci ha impietosamente rapito.


 


La prima constatazione che salta all’occhio è che tutti i Simboli di fede della Chiesa, iniziando dai più antichi, si concludono dichiarando la fede e la speranza nella risurrezione dei morti e, spesso, precisando che i cristiani aspettano la risurrezione della ‘carne’.


Essi si rifanno alla Parola di Dio del Nuovo Testamento nel quale, ad esempio, troviamo S. Paolo che dedica tutto il cap. 15 della prima Lettera ai Corinzi alla speranza della risurrezione dei morti con il loro corpo. Egli insiste tanto su questa verità della nostra fede perché, come abbiamo appena ricordato, se viene meno, la fede stessa e l’opera di predicazione della Chiesa perdono di senso.


Tutte le religioni, dalle più antiche, si sono chieste qual fosse il destino dei propri morti, che noi vediamo consumarsi del tutto dentro la terra. L’uomo non si è mai rassegnato ad accettare che il papà e la mamma, la moglie e il marito, il figlio o l’amico, con cui si erano condivisi affetti, pensieri, gioie e dolori, dovesse venire distrutto per sempre come ogni corpo mortale di animale o di pianta. Ecco, allora, che le religioni e le filosofie hanno intuito una qualche speranza di sopravvivenza della persona umana. Hanno insegnato che la morte non distrugge tutta la persona ma la sua parte materiale (il corpo) mentre la parte spirituale torna dentro il Mondo divino da cui è venuta. Ricordiamo, tra le altre, la grande religione e filosofia del Buddismo o del platonismo e neoplatonismo greco.


Nel cap. 15 della 1 Corinzi, S. Paolo reagisce proprio contro queste dottrine perché insegnavano una speranza troppo debole. Due sposi si sono conosciuti e amati con tutto se stessi, con l’anima, i sentimenti, il corpo; una mamma ha amato suo figlio abbracciandolo, baciandolo, nutrendolo. Come può immaginare di incontrarlo e amarlo ancora senza il suo corpo?


La speranza cristiana annuncia che nulla dell’uomo sarà perduto e definitivamente distrutto dalla morte perché i morti in Cristo risorgono con il loro corpo, con la loro carne.


 


Ma gli apostoli dove hanno fondato questa grandiosa e, insieme, umanamente incredibile speranza? Ancora l’apostolo ci da la risposta: ‘Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto. Ma Cristo è risorto’ (v. 13-14).


Ecco da dove è nata la speranza per gli uomini: dal mattino di Pasqua quando Gesù vince la morte e tutto il male che si era abbattuto su di Lui e risorge dai morti.


Come risorge? Lo intuiamo se leggiamo attentamente i racconti evangelici delle sue apparizioni agli apostoli; uno l’abbiamo ascoltato ora.


Gesù risorto, a porte chiuse, entra in mezzo ai discepoli che, sconvolti e pieni di paura, pensano di vedere un fantasma; di essere preda di un’allucinazione. Allora egli li invita a toccare le sue mani e i suoi piedi che avevano le ferite della crocifissione; a rendersi conto che è proprio lui con il suo corpo, con carne e ossa. Si siede a mangiare una porzione di pesce arrostito.


Poi, li riunisce e spiega loro quello che già aveva preannunciato: ‘il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno’. Niente della sua persona è rimasto consumato dalla morte perché è risorto ed è entrato in una vita nuova proprio con il suo corpo che porta i segni di ciò che aveva patito fino a due giorni prima: le ferite della crocifissione. Ma quelle ferite, aperte sulla sua carne dalla cattiveria degli uomini, non fanno più soffrire e morire Gesù. Anzi sono diventate i segni di quanto ha amato fino a dare tutto, anche la sua carne e il suo sangue. Attraverso la ferita, aperta dalla lancia, il suo Sacro Cuore trasmette gioia e vita nella quale chi crede in lui può entrare e vivere della vita nuova di Gesù risorto.


 


In che modo Gesù risorto ci offre la possibilità di vivere in comunione personale con lui? Lo aveva lui stesso preannunciato parlando nella sinagoga di Cafarnao: ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno’ (Gv 6,54). Ci dona il suo corpo nell’eucaristia come cibo di vita eterna. Nella comunione eucaristica Gesù risorto entra in noi e noi viviamo di lui con una comunione di amore che la morte non distruggerà, come riesce, invece, a distruggere ogni altro nostro legame di affetto e amore umano. Per questo l’eucaristia è detta: ‘Pane di vita eterna’ che porta in noi la vita stessa di Gesù risorto; e ‘farmaco di immortalità’, l’unica medicina che guarisce dalla morte.


Dopo aver vissuto, con fede, in questa vita terrena la comunione con Lui ‘nel suo corpo’, entreremo nella morte sempre in comunione con Lui e ci donerà la grazia di risorgere con Lui e vivere la sua stessa vita eterna con il nostro corpo risorto.


Incontreremo i nostri cari in quella che la Chiesa chiama la ‘Comunione dei Santi’. Li riconosceremo proprio con il loro corpo che, come quello di Gesù, porterà i segni luminosi dei tanti atti d’amore vissuti. Ricordo il volto di mia madre sul letto di morte; portava i segni di quanto si era consumata per noi. Credo che la rivedrò con quei segni splendenti di vita, come erano splendenti le piaghe che il Signore risorto mostrò ai suoi discepoli.


 


Questa è l’unica e grandissima speranza che ogni uomo mortale attende. Su di essa ha scritto Rufino nel suo commento al Credo di Aquileia. Concludo citando le parole di questo Padre della nostra Chiesa: ‘Così avverrà che a ogni anima non verrà restituito un corpo estraneo ma proprio quello suo, che aveva già avuto: in tal modo, in ragione delle prove della vita presente, la carne insieme con la sua anima o sarà premiata, se si sarà ben comportata, o sarà punita, se si sarà comportata male. Perciò la nostra Chiesa ha fatto al Simbolo una prudente e provvidenziale aggiunta, sì che, mentre le altre Chiesa tramandano ‘la risurrezione della carne’, essa tramanda, con l’aggiunta di un solo aggettivo, la risurrezione di questa carne’; di questa, cioè, che colui che fa la professione tocca con la mano, mentre fa sulla fronte il segno della croce’ (Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis V/2, p. 165).


Segniamo il nostro corpo con il segno della croce perché con questo corpo, grazie alla comunione con il Corpo e Sangue di Gesù nell’eucaristia, entreremo con Lui nella risurrezione.