Omelia nella S. Messa di Pasqua

20-04-2014
Cari fratelli e sorelle,

 
 
la prima protagonista dei racconti evangelici della Risurrezione di Gesù è una donna, Maria Maddalena. Come abbiamo appena ascoltato, è lei che il mattino di Pasqua, quando ancora era buio, torna al sepolcro di Gesù e lo trova aperto e vuoto. Corre, allora, ad informare gli apostoli Pietro e Giovanni che, con lei, si recano a quel sepolcro e constatano che dentro non c’è più il corpo del Crocifisso ma solo le bende funebri con le quali era stato avvolto. Il vangelo prosegue narrando che, mentre Pietro e Giovanni tornano in città dagli altri apostoli, Maria rimane sola accanto al sepolcro del suo Maestro.
 
 
In quel giardino ci sono due tombe: quella in cui era stato deposto il corpo crocifisso di Gesù e quella in cui è rinchiuso il cuore della Maddalena. Appena aveva potuto, essa era tornata al sepolcro di Gesù, trascinata dall’affetto e dai ricordi. È il gesto spontaneo che facciamo anche noi quando la morte ci strappa una persona cara; torniamo al cimitero accanto alla sua tomba per stare in silenzio e portare un fiore, segno dell’affetto. Però, come il corpo esanime di Gesù, anche il cuore di Maria era stato calato dentro un sepolcro che non aveva pareti di pietra ma di amarezza mortale e di lacrime tristissime per il male contro cui era impotente.
 
 
Ed ecco che il vangelo ci annuncia la vittoria della Pasqua, la vittoria di Dio su ogni male, anche sulla morte. Gesù spalanca dall’interno il suo sepolcro, dopo tre giorni come aveva predetto. Dopo aver portato su di sé tutto il male degli uomini, si libera dalla morte e inaugura una nuova vita contro la quale neppure la morte potrà più nulla: è il Vivente e il Risorto. E va subito a cercare Maria, che tanto lo aveva amato, per liberare anche lei dal sepolcro in cui era rinchiusa. La trova e la chiama per nome con un amore intensissimo e personale quale può essere solo l’amore di Dio. Entra nel cuore di quella donna, spalanca la tomba di amarezza e rassegnazione che lo avvolgeva e lo riempie di speranza nuova e di gioia di vivere per sempre insieme al suo Maestro e Signore.
 
 
Care sorelle e fratelli, quante volte ho incontrato persone nelle quali Gesù risorto ha ripetuto la stessa trasformazione che ha compiuto nella Maddalena. Anche in questi giorni ho ascoltato racconti di cuori che a lungo avevano vissuto come a tentoni dentro il buio di sbagli fatti, senza trovare luce di speranza ma scivolando sempre più in giù in una specie di disperazione. In quel buio sono stati realmente visitati da Gesù risorto, che può entrare anche nelle tombe dei cuori; hanno percepito la sua Presenza amorevole e personale; hanno visto riaccendersi una piccola luce che si chiama fede; hanno respirato la speranza di poter rivivere e di poter amare donando se stessi.
 
 
Questa è la risurrezione che Gesù continua a portare in tutti coloro che, come Maria Maddalena, tra le lacrime della tristezza cercano il loro Signore anche se non sanno dove sia e come si faccia a trovarlo. Non importa: ci trova Lui se rimaniamo in attesa e non ci rassegniamo.
 
 
La rassegnazione al male è la velenosa tentazione su cui desidero richiamare la nostra attenzione in questo giorno di Pasqua. Maria Maddalena non si è rassegnata; pur tra le lacrime è rimasta in attesa del suo Signore anche se non era nelle sue capacità immaginare se e come avrebbe potuto venirle incontro.
 
 
Il nostro rischio, invece, è quello di abbandonarci ad una silenziosa e progressiva rassegnazione al male. Quando vedi i volti di milioni di bambini condannati alla fame, la finanza cieca che domina e crea ingiustizie o, più semplicemente, la tua incapacità a superare certi vizi che dominano la tua volontà, non fai neanche più lo sforzo di chiederti: cosa si può fare contro questo male e questa volontà di morte? Cosa posso fare io?
 
 
Chiudi gli occhi e ti lasci andare alla rassegnazione. Figlia della rassegnazione è l’indifferenza che è come intercapedine tra il nostro cuore e i gemiti e i dolori delle persone che ci sono vicine o che vediamo con i mezzi di comunicazione. Ci si abitua, non ci si accorge più del dolore degli altri, non si fa più caso al male che rovina le vite, spesso dei più indifesi. Ma l’indifferenza non è la soluzione contro il male; è solo un’anestesia dell’anima. Non senti più il dolore ma intanto il male cammina ancora più libero di rovinare i tessuti del cuore delle persone, delle relazioni familiari, della pelle dei più deboli.
 
 
Papa Francesco, nel suo viaggio a Lampedusa, ha denunciato una “globalizzazione dell’indifferenza”.
 
 
Care sorelle e fratelli, non voglio dilungarmi oltre ma solo suggerire a tutti che, forse, una tomba da cui abbiamo bisogno oggi di risorgere è quella dell’indifferenza; dell’indifferenza verso la fede in Dio e in Gesù risorto, verso i nostri simili che soffrono e verso i nostri compromessi morali.
 
Chiedo per me e per voi un po’ delle lacrime della Maddalena che non voleva rassegnarsi ad un’esistenza senza senso e senza speranza. Gesù risorto l’ha visitata e le ha cambiato il cuore.