Cari fratelli e sorelle,
diamo il nostro ultimo saluto cristiano al diacono Paolo Collavini con la Santa Messa di esequie e con le consolanti parole dell’Apocalisse che abbiamo appena ascoltato: “Beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito – essi riposeranno dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono”.
Possiamo applicare queste parole ispirate anche alla vita e al ministero del diacono Paolo.
Credo di poter dire, prima di tutto, che egli “è morto nel Signore”. La sua fede, profondamente radicata nel suo animo, è stata sempre più purificata, come oro nel crogiuolo, negli ultimi anni che sono stati segnati da progressiva e faticosa debolezza fisica. Di questo cammino interiore posso essere personalmente testimone grazie agli incontri avuti con lui. Mentre diminuivano le forze, sentivo crescere in lui un paziente e umile affidamento al Signore Gesù che lo ha accompagnato fino alla fine; fino a “morire nel Signore”, tra le braccia della sua infinita Misericordia.
Paolo, poi, è giunto all’incontro finale con Gesù risorto non da solo ma – sempre come dice l’Apocalisse – “seguito dalle sue opere”. Ha investito i suoi talenti in opere buone che egli, come servo fedele, ora può offrire a Colui che gli aveva donato la vita e i talenti.
A tutti, credo, venga immediatamente in mente, in questo momento, la sesta opera di misericordia indicata da Gesù stesso: “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Paolo, non solo è andato a visitare i carcerati, ma per anni e anni si è dedicato a loro con straordinaria fedeltà e passione da buon samaritano. Tra di loro egli ha veramente esercitato il suo ministero di diacono consacrato per rendere presente Gesù servo facendosi ultimo con gli ultimi per far fare loro esperienza dell’amore di Dio Padre. Quando Paolo mi parlava del suo servizio tra i carcerati traspariva in lui una sincera compassione verso di loro, come verso suoi veri fratelli. Aveva a cuore i loro bisogni materiali a cui cercava di provvedere con gli aiuti che erano possibili. Contemporaneamente si prendeva cura anche delle loro necessità morali e spirituali e portava tra di loro la Parola di Dio e la preghiera perché potessero ritrovare la luce della fede e, grazie a questa virtù, godere di una guarigione interiore per grazia dello Spirito Santo.
Ricordo con quanta sofferenza interiore è venuto a comunicarmi che, a causa delle situazioni di salute personale e familiare, doveva concludere il suo servizio in carcere dove veramente lasciava parte del suo cuore. Sono certo che tanti carcerati ed ex carcerati sentiranno un debito di riconoscenza verso il fratello e l’amico diacono Paolo.
Egli ha esercitato il suo ministero anche dedicandosi con uguale passione e fedeltà alla cura pastorale delle piccole comunità cristiane di Cergneu, Valmontana e Monteprato. Anch’esse erano in situazione di povertà perché, a causa della scarsità di sacerdoti, rischiavano di essere, senza il suo servizio, un po’ trascurate pastoralmente.
Sentiva anche i cristiani di quelle comunità come dei fratelli e tra di loro ha esercitato altre forme del suo ministero diaconale. Ha annunciato, commentato e celebrato la Parola di Dio; ha riunito le comunità in preghiera; si è interessato della loro formazione cristiana; ha visitato anziani e malati.
Ho ricordato due “opere buone” nelle quali il diacono Paolo ha speso molta della sua vita e delle sue capacità. Ad esse se ne aggiungono altre, cominciando dalla dedizione alla famiglia che si era formato e ai figli che aveva ricevuto.
L’Apocalisse chiama “beati” coloro che muoiono nel Signore seguiti dalle loro buone opere. E Gesù definisce “benedetti del Padre mio” coloro che lo hanno riconosciuto e aiutato nei poveri, tra cui, i carcerati.
Sostenuti dalla Parola di Dio, preghiamo perché il nostro caro diacono Paolo possa sentirsi accogliere da Gesù come “beato e benedetto”. Questa è la gioia eterna che può coronare il suo pellegrinaggio terreno e la ricompensa per quanto ha donato e sofferto con fedeltà e larghezza di cuore.