Omelia in occasione dei Primi Vespri dei Santi Patroni (11 luglio 2019)

11-07-2019

Cari Fratelli e Sorelle,

con i primi vespri solenni entriamo nella festa dei santi Patroni della nostra Chiesa, Ermacora e Fortunato. È un momento dell’anno liturgico molto sentito e significativo perché ricordiamo i nostri Padri nella fede; coloro che hanno seminato la parola del Vangelo e piantato la fede in Gesù Cristo nei territori di Aquileia. Una versione della Passio dei nostri Patroni celebra Ermacora come il primo vescovo d’Italia, il quale sarebbe accompagnato dall’evangelista Marco da San Pietro che gli consegnò il bastone vescovile e il velo del sacramento. Questa tradizione manifesta che nella Chiesa di Aquileia, di cui siamo figli, aveva la coscienza viva di essere nata direttamente dalla fede degli apostoli trasmessa al primo vescovo, al suo diacono alla prima comunità cristiana.

Noi continuiamo a guardare a questi Padri nella fede per nutrirci della loro sapienza e della loro esperienza, fondate sulla testimonianza degli apostoli.

Mi soffermo questa sera, in particolare su un aspetto della loro sapienza cristiana che può essere molto illuminante in questo momento della vita della nostra Chiesa diocesana; e anche di tutta la Chiesa.

Essi ci ricordano che se si vuol veramente comprendere le vicende della vita della Chiesa di Cristo, anche in questo nostro tempo, dobbiamo guardarle con occhi illuminati dalla fede e non con uno sguardo solamente umano.

Se il  vescovo Ermacora avesse considerato con criteri solo umani la piccola comunità cristiana che era sorta ad Aquileia e che era affidata alla sua guida pastorale, non avrebbe avuto prospettive di speranza per il suo futuro. Erano pochi cristiani e sotto persecuzione e, quindi, ragionevolmente destinati ad estinguersi in breve tempo.

Ermacora, invece, aveva, verso la sua Chiesa, lo stesso  sguardo di fede dei fondatori della  Chiesa di Cristo, gli apostoli. Aveva lo sguardo di fede di San Paolo che scrive alla comunità di Corinto: “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1 Cor, 1,26-30).

Illuminato dalla fede Ermacora vide, come S. Paolo, ciò che agli occhi e alla mente umana era invisibile: comprese, cioè, la natura soprannaturale della piccola e debole comunità cristiana di Aquileia. Essa non era un’associazione religiosa o filantropica come altre, ma era il Corpo di Cristo stesso, crocifisso e risorto che si era reso presente e cresceva nelle terre orientali dell’impero romano. Era il Corpo di Cristo che non viveva e si sviluppava perché aveva risorse politiche, culturali, militari o economiche, ma per opera dello Spirito Santo che animava la Chiesa con una vitalità che non seguiva le leggi umane ma che veniva dalla potenza di Gesù e della sua risurrezione.

Cari fratelli e sorelle, desiderio invitare tutti (presbitero diaconi, religiosi e laici) ad ereditare dai nostri Patroni il loro sguardo di fede sulla nostra Chiesa diocesana in questo momento della sua storia. Non fermiamoci a valutazioni solo di buon senso umano perché ci farebbero vedere solo le debolezze e deficienze della nostra diocesi e delle nostre parrocchie; debolezze che molte volte mi sento elencare e che non mi fermo a ripetere. Anche il progetto diocesano – che lo scorso anno ho ufficialmente avviato in questa data col documento: “Siano una cosa sola perché il mondo creda” – potrebbe sembrare un tentativo senza molte probabilità di riuscita.

Ma con S. Paolo e con i santi Ermacora e Fortunato ripeto a me e a voi di non farci demoralizzare se dal punto umano ci vediamo poco potenti, con poche risorse. Se cadiamo in questi stati d’animo – magari anche condividendoli assieme – significa che guardiamo la nostra Chiesa di Udine con criteri di potenza umana.

Aiutiamoci tutti a rinnovare nel nostro animo e a condividere assieme uno sguardo di fede. Questa nostra Chiesa diocesana, con tutte le sue fatiche e debolezze, è il Corpo di Cristo risorto. Gesù non ci ha abbandonato a noi stessi e non siamo una barca che va alla deriva. È Gesù stesso che è impegnato con noi perché noi siamo ora membra del suo Corpo e non può separarsi da noi. Lo Spirito Santo sta operando in tanti modi in mezzo a noi; vorrei avere il tempo per soffermarmi in vari esempi.

Solamente dobbiamo avere gli occhi purificati dalla fede come li hanno avuti Ermacora e Fortunato. E così hanno compreso che la loro prima, piccola comunità cristiana aveva una natura soprannaturale, incomprensibile ad uno sguardo umano.

Forti di questa fede, non solo non si sono scoraggiato ma, anzi, hanno continuato ad annunciare il Vangelo fino al martirio.

Chiediamo, per loro intercessione, di avere un po’ della luce della loro fede e della loro convinzione missionaria. Occhi illuminati dalla fede e convinzione missionaria nel cuore: questo è lo spirito del nostro progetto diocesano. Questo sarà anche il tema spirituale di formazione del prossimo anno pastorale che approfondiremo meditando, in particolare, il vangelo di Matteo con l’aiuto  di schede bibliche accompagnate da una mia lettera pastorale.

E lo Spirito del Signore ci aiuti a non cadere nella tentazione di misurarci solo con le nostre forze  perché non dobbiamo vantarci di fronte a Dio ma : “Chi si vanta, si vanti nel Signore”.