Omelia in occasione dei funerali di don Giuseppe Brocchetta (29 dicembre 2021)

29-12-2021

Cari Fratelli e Sorelle,

mentre siamo nei giorni della festa del Santo Natale di Gesù, per don Giuseppe Brochetta è giunto il momento di vivere il suo “natale”. La Chiesa ha sempre ricordato e festeggiato non il giorno della nascita ma il giorno della morte fisica dei Santi chiamandolo il “dies natalis”; il giorno, cioè, della nascita alla vera vita, alla vita eterna. Questo ci ha assicurato il libro della Sapienza per coloro che muoiono con la fede: «I fedeli nell’amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti».  

Chi l’ha conosciuto da vicino, sa che don Giuseppe era sostenuto da un filiale affidamento alla volontà di Dio Padre. Quando nella Fraternità sacerdotale, in cui è stato ospite dal 2017, qualcuno alla sera lo salutava dandogli appuntamento al mattino dopo, si sentiva rispondere; “a Dio piacendo” oppure “se Dio lo vorrà”. Non erano frasi fatte ma rivelavano quanto don Giuseppe, ormai anziano, vivesse ogni giorno con serena fiducia nella volontà di Dio e con una forte speranza nella vita eterna come meta vera e ultima della sua vita spesa per Cristo e per i fratelli in 65 anni di fedele ministero sacerdotale. Era proteso verso il suo “dies natalis”, verso l’incontro finale con il suo Signore, come il servo fedele di cui ci ha parlato Gesù nel vangelo.

Anche nel suo testamento spirituale appare quanto don Giuseppe attendesse con fiducia e speranza la sua nascita al cielo. Sono poche e sobrie parole, come era nel suo stile. Per questo mi permetto di leggerle pubblicamente perché sono gli ultimi pensieri e sentimenti che don Giuseppe ha voluto lasciarci: «Ringrazio il Signore del dono della vocazione al Sacerdozio; chiedo perdono per non essere stato sempre degno di questo dono. Chiedo scusa e perdono a chi posso aver offeso con parole e cattivi esempi. Ho ancora bisogno della comprensione di tutti. Sia grande la misericordia di Dio su di me. Prego per tutti perché il Signore Gesù ci accolga tutti nel suo Paradiso perché lì possiamo in eterno cantare la sua misericordia. Amen». (Udine, Casa di accoglienza del clero, 8.3.21). 

Quando ho letto questo testamento, subito mi è venuto da pensare che don Giuseppe è stato un sacerdote autentico che ha conservato nel profondo del suo cuore i sentimenti più sinceri e profondi che dovrebbero sempre animare ogni vero sacerdote.

Ringrazia il Signore del dono gratuito della vocazione al Sacerdozio perché quello è stato il dono più grande che Dio poteva fargli e che ha reso grande e preziosa tutta la sua vita.

Insieme, però, chiede perdono per non essere sempre stato degno di quel dono. Mostra, cioè, di aver ben chiara nella sua coscienza di quanto fosse grande la sproporzione tra il dono del ministero sacerdotale e la sua povertà, piccolezza, indegnità. E alla sera della vita, al momento di ammainare le vele, gli viene spontaneo consegnarsi a Dio invocando il suo perdono perché tra la vocazione ricevuta e quello che è riuscito a fare sente una distanza tale da poter solo affidarsi alla misericordia del Padre. Queste parole ci rivelano quanto don Giuseppe sia stato un prete serenamente umile che ha messo a disposizione le qualità e le forze che aveva senza pensare di aver diritto a riconoscimenti davanti agli uomini Dava quello che poteva e si affidava alla misericordia di Dio. 

Così, credo, che l’abbiate conosciuto voi fedeli di Flaibano, Sant’Odorico e Barazzetto che lo avete avuto per tanti anni come pastore e guida spirituale; come, pure, i fedeli di Cividale, Galleriano e Raveo dove ha esercitato precedentemente il suo ministero.

C’è ancora una frase che mostra l’umiltà di don Giuseppe: «Chiedo scusa e perdono a chi posso aver offeso con parole e cattivi esempi. Ho ancora bisogno della comprensione di tutti. Sia grande la misericordia di Dio su di me». Ci fa capire che sentiva il dovere di essere sacerdote con l’esempio prima che con le parole. Per questo, nella sua delicatezza d’animo, lo fa soffrire il pensiero di aver offeso qualcuno con cattivi comportamenti e modi di parlare. Ci chiede, perciò, la carità di poter presentarsi davanti a Dio sentendo che i suoi cristiani lo accompagnano con la loro comprensione e il loro perdono per le debolezze che ha avuto.

Conclude il suo testamento assicurandoci la sua preghiera «perché il Signore Gesù ci accolga tutti nel suo Paradiso perché lì possiamo in eterno cantare la sua misericordia». Questo è l’appuntamento ultimo che ci lascia: il Paradiso che Gesù risorto ha aperto per lui e per noi. 

Veramente don Giuseppe è andato incontro alla morte come al suo “dies natalis”, come alla sua vera nascita che porta a compimento il suo battesimo in Cristo. 

In questa S. Messa di suffragio lo consegniamo, con serenità e riconoscenza e per intercessione di Maria, alle braccia di Dio Padre pregandolo di ascoltare l’ultima invocazione di don Giuseppe: «Sia grande la misericordia di Dio su di me».

Flaibano, 29 dicembre 2021