Omelia dell’Arcivescovo in occasione della Santa Messa del Crisma (29 marzo 2018)

29-03-2018

Eccellenze, cari confratelli sacerdoti diocesani e provenienti da altre Chiese, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi e carissimi fratelli e sorelle laici, al cap. 11 della prima lettera ai Corinzi S. Paolo scrive: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (v. 23-26)». Egli si rivolge ad una comunità cristiana che si stava progressivamente formando con tanta ricchezza di carismi e con tanta fatica a vivere la reciproca carità fraterna. Non si era costituita perché un gruppo di persone si erano scelte reciprocamente per affinità psicologiche o di interessi. I cristiani di Corinto neppure si conoscevano tra loro e si erano trovati assieme perché ognuno aveva risposto personalmente all’annuncio del Vangelo con un cammino di conversione fino ad incontrare Gesù nel battesimo.

Qual era il miracolo che stava trasformando quel gruppo eterogeneo di persone in comunità; più precisamente, nella comunità dei discepoli di Gesù che si volevano bene con la sua stessa carità? Essi erano tenuti uniti tra loro dalla forza della Tradizione che  l’apostolo, come ricorda nella lettera, aveva portato in mezzo a loro: la Tradizione della celebrazione dell’eucaristia. Paolo non l’aveva ricevuta da uomini ma direttamente dal Signore: «Ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso».

Egli aveva potuto portare la celebrazione eucaristica dentro quella comunità cristiana grazie ad un ministero che non era stato scelto né da lui, né dalla comunità; ma  che aveva ricevuto sempre dal Signore con una particolare effusione del suo Santo Spirito. Era il ministero apostolico che gli apostoli avrebbero, poi, trasmesso a dei loro successori mediante il segno sacramentale dell’imposizione delle mani e l’identica effusione dello Spirito Santo da parte di Gesù risorto. La successione apostolica, che coinvolge i vescovi e i presbiteri uniti in solidum tra loro, è la seconda Tradizione vitale per la Chiesa perché le assicura la celebrazione dell’eucaristia. Oggi, Giovedì Santo, ricordiamo queste due Tradizioni. Le ricordiamo con grande gioia e riconoscenza perché esse ci collegano direttamente al Signore Gesù. Ci portano a lui perché da lui sono state decise e comandate agli apostoli; ma, più profondamente,  perché in esse Gesù si fa nostro contemporaneo e continua a consegnarsi alla sua Chiesa perché viva di lui e della sua carità fino alla fine dei tempi.

Quando parliamo della Tradizione nella Chiesa ci viene, magari, spontaneo pensare a testi, regole o riti antichi tramandati nei secoli e che noi riceviamo e ripetiamo. Questa sarebbe una tradizione morta. La nostra, invece, è viva perché è fatta di carne e di sangue. Nella celebrazione eucaristica è il Signore Gesù che, animato da uno Spirito eterno, continua a consegnare (tradere seipsum) il suo Corpo e il suo Sangue al Padre e a noi, suoi poveri amici, per nutrirci di se stesso e unirci in un unico Corpo, il suo Corpo che è la Chiesa.

Ecco la Tradizione di cui possono vivere le nostre comunità cristiane. È Gesù stesso nel dono pasquale di se stesso che si consegna a noi e accompagna lungo il pellegrinaggio la sua Chiesa.

Ha perpetuato nei secoli questo dono totale di sé stesso, compiuto nei giorni della sua Pasqua, attraverso il ministero di quei battezzati che egli stesso ha inserito nella successione apostolica  perché assicurino la celebrazione eucaristica ai battezzati e alle comunità cristiane

Nella persona e nel ministero dei vescovi e dei presbiteri, uniti fra di loro, è Gesù vivente che continua a farsi oggi presente tra i suoi discepoli. È lui il Protagonista. Forse in altri ambiti della pastorale possiamo sentirci noi i protagonisti, grazie alle nostre capacità intellettuali, di linguaggio, di leadership, di relazione affettiva. Ed è cosa buona che le mettiamo a disposizione come talenti ricevuti.

Ma quando invochiamo lo Spirito Santo imponendo le mani sul pane e sul vino e, ripetendo i gesti essenziali dell’Ultima Cena di Gesù, proclamiamo in prima persona le sue parole, cessa ogni nostro protagonismo. È lui che diventa il Protagonista e in noi e per mezzo di noi continua la consegna pasquale del suo Corpo e del suo Sangue all’assemblea convocata attorno all’altare. In quel momento – che sarà vero anche tra poco – noi agiamo «in persona Christi» grazie solo a quella comunione indissolubile con cui ci ha uniti, personalmente, a lui con il sacramento dell’ordine sacro. Di nostro possiamo metterci  la fede e la carità di cui la nostra mente e il nostro cuore sono capaci per essere il meno indegni possibile del ministero al quale il Signore ci ha consacrato.

Meditavo questo mistero anche ieri pomeriggio mentre celebravo l’eucaristia con  i nostri confratelli della Fraternità sacerdotale. Li vedevo spogliati di energie e di possibilità di protagonismo con il rischio di considerarli un po’ inutili. Invece possono sempre concelebrare e lo abbiamo fatto assieme; abbiamo agito «in persona Christi» perché la consacrazione sacramentale con cui Gesù li ha uniti a sé resta efficace, per potenza sua nella loro debolezza. E lui, che scruta i cuori, vedrà magari in loro fede più viva e carità più pura della nostra.

Mi sono soffermato su due grandi Tradizioni che hanno tenuto viva a unita la Chiesa di Cristo lungo la sua storia e che ricordiamo in particolare il Giovedì Santo. Mi scuso se il mio discorso non è stato abbastanza chiaro nella preoccupazione di essere sintetico.

Ho pensato di offrire questa breve meditazione col desiderio di contribuire a rafforzare la nostra speranza in un tempo in cui non è sempre così semplice tenerla viva di fronte a non poche difficoltà che si parano davanti al nostro ministero e alla vita della Chiesa. Quando sentiamo le ginocchia vacillanti, seguiamo l’invito dell’autore della lettera agli Ebrei e torniamo a «tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2).  Con la mente e il cuore illuminati dalla fede possiamo veramente riconoscere Gesù che è in mezzo a noi e continua a consegnarci il suo Corpo e il suo Sangue nell’ininterrotta tradizione della celebrazione eucaristica. Nella comunione sacramentale con lui egli ci dona come cibo il suo Spirito dell’Amore, l’unico che ha la potenza di rigenerare le nostre comunità, le nostre famiglie, i nostri reciproci rapporti.

Questa grazia di partecipare alla Cena del Signore ci viene donata perché nella nostra Chiesa non è mai venuta meno la successione apostolica e tutt’ora Gesù agisce realmente ed efficacemente nei suoi ministri che ha scelto e consacrato: i vescovi e i sacerdoti.

Con gioia umile e sincera rinnoviamo oggi il nostro corale ringraziamento a Gesù perché nell’Ultima Cena ha consegnato agli apostoli e alla futura Chiesa la celebrazione eucaristica e il ministero episcopale e presbiterale affinché potessimo vivere del suo Corpo, del suo Sangue e del suo Amore crocifisso e risorto. E ci sentiamo, a nostra volta, impegnati a tenere vive anche oggi nella nostra Chiesa diocesana queste due Tradizioni che vengono dal Signore: la celebrazione eucaristica (specialmente nel Giorno del Signore) e la presenza dei ministri che agiscono «in persona Christi» offrendo ai fratelli il Corpo e Sangue del Signore.

Per aver avuto la grazia di esercitare per tanti anni questo grande ministero, oggi rendono una lode particolare a Dio i confratelli che festeggiano i giubilei sacerdotali. Ci uniamo con gioia alla loro preghiera e li ringraziamo per la loro lunga fedeltà nel servizio a Cristo e alla sua Chiesa.

Non vogliamo, poi, dimenticare in questa celebrazione i confratelli che, dalla S. Messa crismale dello scorso anno Dio ha chiamato a sé. Per essi torniamo a chiedere la grazia che già abbiano invocato nella S. Messa di esequie: “di godere della visione dei divini misteri di cui furono dispensatori nella Chiesa”.

Nell’anno che abbiamo dedicato a Maria, ci affidiamo alla sua intercessione perché, come i discepoli di Emmaus, sappiamo con gioia e stupore eucaristico riconoscere e accogliere il nostro Signore Gesù che si consegna a noi nel suo “verum Corpus natum de Maria Virgine“.