Catechesi in occasione della seconda stazione dei “Quaresimali d’arte” 2015

04-03-2015

Le letture

 
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,31-46)
 
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. 
 
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. 
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”. 
 
 
Dalla Vita di Martino, di Sulpicio Severo
 
Prima di ricevere il battesimo, per circa tre anni Martino fu sotto le armi, ma non si fece contaminare dai vizi in cui abitualmente è invischiato questo genere di uomini.Nei confronti dei suoi commilitoni grande era la sua benevolenza e ammirevole il suo affetto; quanto alla sua pazienza ed alla sua umiltà, esse erano a dir poco sovrumane. Appare poi superfluo lodare la sobrietà che lo caratterizzava: fin da allora, lo avresti detto non un soldato, ma un monaco. Per tutti questi motivi, aveva legato a sé tutti i suoi compagni, i quali nutrivano per lui un affetto meraviglioso e una venerazione incredibile.
 
E tuttavia, pur non essendo stato rigenerato ancora in Cristo, si comportava come un candidato al battesimo mediante le buone opere che compiva: assistere i malati, portare soccorso agli infelici, nutrire i bisognosi, vestire gli ignudi, e del suo soldo militare non riservare per sé che il necessario per il pane quotidiano. Già da allora, poiché non era sordo agli insegnamenti del vangelo, non pensava all’indomani.
 
Un giorno, nel mezzo di un inverno più rigido del solito, al punto che numerose persone morivano a motivo dei rigori del freddo, mentre non aveva addosso niente altro che le armi e il semplice mantello militare, sulla porta della città di Amiens, si imbatté in un povero nudo: l’infelice pregava i passanti di avere pietà di lui, ma tutti passavano oltre. Quell’uomo di Dio, vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato.
 
Ma che fare? Non aveva nient’altro se non la clamide, di cui era rivestito: infatti, aveva già sacrificato tutto il resto per una buona opera analoga. Allora, afferrata la spada che portava alla cintura, tagliò il mantello a metà, ne diede una parte al povero, e indossò nuovamente la parte rimanente. Intanto alcuni dei presenti, trovandolo brutto a vedersi a motivo di quell’abito tranciato, si misero a ridere. Molti altri, tuttavia, più sensati, cominciarono a dolersi profondamente di non avere fatto niente di simile, mentre, avendo più vestiti di lui, avrebbero potuto vestire il povero senza denudarsi a loro volta.
 
Dunque la notte seguente, mentre dormiva, Martino vide il Cristo, rivestito della parte della sua clamide con cui aveva coperto il povero. Gli fu ordinato di guardare attentamente il Signore, e di riconoscere la veste che aveva dato. Poi, udì Gesù dire con voce chiara alla moltitudine degli angeli che gli stavano intorno: «Martino, che è ancora un catecumeno, mi ha coperto con questa veste».
 
Il Signore è veramente memore delle sue parole, egli che un tempo aveva detto: Ogni volta che avete fatto queste cose a una sola di queste umilissime creature, l’avete fatta a me, dichiarò di essere stato vestito nella persona di quel povero e, per confermare la testimonianza di un’opera così buona, Egli si degnò di mostrarsi nello stesso abito che aveva ricevuto il povero.
 
Questa visione non inorgoglì il beato, ma, riconoscendo la bontà di Dio nella sua opera, poiché aveva diciotto anni, si affrettò a ricevere il battesimo.
 
 

Catechesi dell’Arcivescovo

 
Terminavo la catechesi quaresimale di domenica scorsa con un richiamo all’umiltà. Un cristiano non pretende di aver da sé la forza di sostenere i fratelli che soffrono; con umiltà può, invece, dire loro: “Non sono più buono e generoso di te, ma ho ricevuto misericordia dal Signore e, come posso, la dono a te. Nel mio cuore Gesù ha riversato l’amore che ha nel suo Sacro Cuore; così mi ha guarito dall’egoismo e mi ha reso capace di voler bene anche a te. Per questo ringraziamo assieme il Signore per l’amore che ci dona”. Questa è l’umiltà che ha sostenuto i tanti santi della carità nei quali l’amore ricevuto da Gesù ha portato frutti straordinari e fatto nascere opere geniali a favore dei poveri e dei sofferenti.
 
Anche in noi l’amore che riceviamo da Gesù, grazie allo Spirito Santo, può portare frutti. Alla fine della nostra giornata terrena il valore di tutta la nostra esistenza sarà misurato da Dio sulle opere di carità, piccole o grandi, che avremo realizzato, come abbiamo appena sentito leggere dal vangelo di Matteo.
 
Tra queste opere Gesù stesso ne indica sette che la tradizione cristiana ha chiamato “opere di misericordia corporali”. Se le compiamo, alla fine della vita Gesù risorto ci accoglierà dicendo: “Ogni volta che hai fatto queste cose ad uno dei miei fratelli più piccolo, l’hai fatto a me. Vieni benedetto del Padre mio”.
 
Ricordo queste opere di misericordia: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti.
Su di esse faccio tre brevi commenti.
 
1. Le opere di misericordia corporale ci consolano perché non chiedono azioni difficili che solo pochi sarebbero in grado di realizzare, ma sette forme di carità possibili a tutti. Ognuno può privarsi di un po’ di cibo o di un vestito, essere vicino a persone ammalate, partecipare alla S. Messa di esequie per un defunto. Con queste opere semplici possiamo arricchire la nostra vita di frutti di carità i quali saranno graditi al Signore quando lo incontreremo nel momento della morte. Accanto a lui ci aspetteranno i poveri che abbiamo aiutato e che intercederanno a nostro favore: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” ( Lc 16,9). 
 
2. Le opere di misericordia corporale ci invitano ancora all’umiltà perché ci aprono ad un orizzonte di bisogni che superano ogni nostra possibilità di rispondere adeguatamente. Esse ci mettono davanti milioni e milioni di persone, spesso bambini, che muoiono di fame, che non hanno vestiti per difendersi, che non hanno nessuno che li soccorre quando sono malati. Cosa fare di fronte a simili bisogni, spesso frutto di gravi ingiustizie create dalle nostre società del benessere? Cosa ci chiede Gesù? Come potremo rispondere di fronte a lui?
Una reazione non infrequente è quella di tapparci occhi e orecchi per non sentire i gemiti e non vedere certi volti consumati dal bisogno. Di conseguenza, la coscienza, un po’ alla volta, rischia di fasciarsi di quella indifferenza, denunciata con forza da Papa Francesco nel suo messaggio per la quaresima.
La reazione del cristiano, invece, è quella di tenere lo sguardo spalancato sui troppi poveri e sofferenti. Di fronte a loro riconosciamo, con sincera umiltà, di fare poco sia perché non abbiamo molti mezzi, sia perché abbiamo poco coraggio e generosità. Sempre con umiltà, però facciamo quel poco che possiamo anche se sembra una goccia nell’oceano. E con umiltà preghiamo lo Spirito Santo perché ci liberi dalla tentazione dell’indifferenza e renda il nostro cuore più generoso verso chi invoca aiuto.
 
3. Le opere di misericordia corporale mostrano la caratteristica propria dell’amore cristiano. Non è solo il vangelo che invita ad aiutare i poveri e i sofferenti. Un atteggiamento di filantropia e di compassione è raccomandato da tutte le religioni e filosofie.
Solo Gesù, però, dice: “Quando hai dato da mangiare ad un povero, hai dato da mangiare a me”. Il cristiano aiuta chi soffre perché in quel fratello debole vede il suo Signore che lo aspetta e misura la generosità del suo cuore.
E’ questa fede che ha fatto sorgere tutti i grandi santi della carità. Abbiamo ascoltato il celebre episodio di S. Martino che nel povero ignudo, a cui ha donato metà del mantello, gli si rivela il volto di Gesù che dice agli angeli: “Martino, che è ancora un catecumeno, mi ha coperto con questa veste”. Possiamo ricordare S. Camillo De Lellis, il santo degli incurabili, che con i suoi compagni fece il voto di essere “servi dei loro padroni, gli infermi, per tutta la vita” perché nei poveri vedeva il suo Signore, Gesù. Così, Madre Teresa di Calcutta, stringeva tra le braccia i moribondi distesi lungo le strade perché in loro vedeva e accoglieva Gesù.
L’autore della lettera agli Ebrei, con una straordinaria intuizione, dice che Gesù, il Figlio di Dio si è fatto uomo come noi e “non si vergogna di chiamarci fratelli”. Non si vergogna di essere fratello dell’affamato, del malato ridotto all’estrema debolezza, del carcerato che ha rovinato se stesso. Quando li incontriamo abbiamo davanti un fratello che Gesù ama e nel quale si fa presente. Gli dona la sua dignità grazie alla quale merita essere accolto e servito.
Alla fine della vita ci aspetteranno i poveri che abbiamo aiutato e tutti avranno il volto di Gesù.