Cari fratelli e sorelle,
la festa dei Santi Patroni dell‘Arcidiocesi e della Città di Udine è sempre un’occasione per ricavare dal loro sublime esempio qualche prezioso insegnamento per la nostra vita, sia personale che sociale.
La lettura del Vangelo è stata introdotta dal canto di un’antica sequenza che ripercorre i momenti del martirio di Ermacora e Fortunato. In essa torna frequentemente l’immagine della luce. Ricordiamo qualche espressione: «Mentre prega il Signore risplende il Padre della luce nell’oscurità del carcere”, “Ponziano vede una luce dal cielo», «Si annuncia la notizia della luce»…
Umanamente parlando, sono espressioni alquanto paradossali perché si riferiscono al momento in cui i due Santi Martiri venivano condannati, piuttosto, all’oscurità del carcere e a quella ancor più terribile della morte e della morte per decapitazione. Ma la penultima strofa della sequenza rivela di quale luce si tratta: «Per le loro opere, di notte, spunta il giorno della vera fede; in carcere vengono decapitati e si prefigura la gloria».
Nella grande citta pagana di Aquileia, Ermacora e Fortunato hanno acceso la luce della fede in Colui che si presentò affermando: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Chi, grazie alla fede, accoglie la parola di Gesù scopre veramente che la mente con i suoi pensieri e il cuore con i suoi sentimenti vedono e capiscono quello che prima nemmeno intuivano. Nella condizione delle tenebre infatti – è una rilevazione che appartiene all’esperienza comune − non si colgono realtà importanti, al punto da sembrare che neppure esistano. Nel buio non appare la strada lungo la quale si sta camminando e di conseguenza si può inciampare o, peggio ancora, precipitare nel baratro.
Ermacora e Fortunato, assieme a tutti i martiri aquileiesi, hanno acceso la luce della fede in Gesù e nel suo Vangelo sulle nostre terre e tanti altri grandi vescovi, sacerdoti e cristiani l’hanno poi tenuta accesa lungo i secoli. Bisognerebbe essere ciechi per non riconoscere quanto essa sia stata benefica e abbia fecondato una civiltà cristiana ricca di valori spirituali e morali, di sentimenti, di opere di carità e solidarietà, di bellezze letterarie ed artistiche di cui andiamo giustamente fieri.
Oggi i Santi Ermacora e Fortunato ci fanno giungere un pressante invito a non lasciare che la luce della fede cristiana si affievolisca e così – Dio non voglia – addirittura si spenga. Dicevo poc’anzi che una delle fatali conseguenze per chi vive nelle tenebre è di non scorgere realtà anche importanti della vita e di comportarsi, di conseguenza, come se queste non esistessero.
Si potrebbe provare questa affermazione con diversi esempi. Mi limito ad accennarne uno. Quando nelle menti e nelle coscienze si affievolisce la luce della fede nella parola di Gesù i primi a non essere più visti, come se non esistessero, sono i più deboli e i più poveri; sono coloro che non hanno forze per fare rumore e voce per farsi sentire.
Sono i piccoli a cui non si permette di vedere la luce perché le madri sono lasciate sole, deboli quanto loro; sono i bambini e i ragazzi coinvolti, anche in ambienti educativi, in proposte a dir poco discutibili e che loro non hanno risorse per discernere; sono i giovani che non hanno più né dimora, né prospettive, e che la Caritas diocesana, secondo le risultanze del bilancio sociale da poco presentato, ha evidenziato in crescita anche sul nostro territorio; sono le famiglie lasciate sole a dimenarsi tra difficoltà di ogni tipo; sono gli anziani isolati e derelitti che sempre la Caritas ha mostrato in aumento presso i centri di ascolto… E l’elenco potrebbe continuare e sento che suona scomodo prima di tutto a me che mi permetto questi cenni. Ma i Santi Patroni e i cristiani che ci hanno preceduto ci spingono con il loro esempio ad un umile e costante esame di coscienza, condizione per riaccendere nei cuori quella luce che Gesù ha attinto dal “Padre della luce” e che illumina la via che sola ci porta a condividere una vita buona per tutti.
Se torniamo a sostare davanti all’insuperabile parabola del Buon Samaritano, ecco che prende luce il nostro stesso panorama esistenziale e riusciamo a scorgere il povero che, sconfitto dalla violenza e dall’indifferenza altrui, giace senza forze e senza voce sul ciglio della strada.
Concluderemo la celebrazione della S. Messa davanti alla cattedrale per benedire la nostra cara città con le reliquie dei Santi Patroni. Invoco di cuore questa benedizione perché Udine sia bella, illuminata dalla Luce più grande che si sia mai accesa tra gli uomini: la luce del Vangelo.