Cari fratelli e sorelle,
ho accettato volentieri di celebrare con voi questa Eucaristia a conclusione dei miei oltre 14 anni di ministero episcopale nella nostra Arcidiocesi di Udine. L’ho accolta con gioia, questa Messa, perché quando una Chiesa ricorda un tratto della sua lunga storia è giusto che questo ricordo si trasformi in una Eucaristia. Vogliamo, cioè, volgere gli occhi e i cuori in alto (diremo fra poco: “in alto i nostri cuori”) per offrire a Dio Padre una comunitaria preghiera di lode e di ringraziamento.
Il brano evangelico che abbiamo ascoltato ci assicura che in questo momento non siamo da soli ad innalzare il rendimento di grazie al Padre perché c’è in mezzo a noi Gesù risorto. Egli, racconta l’evangelista Luca, già la sera di Pasqua «in persona stette in mezzo a loro»; si pose stabilmente in mezzo alla comunità dei discepoli con il suo corpo segnato dalle ferite della passione.
Anche in questa celebrazione lui sta in mezzo a noi; è lui il principale protagonista e non il Vescovo. Gesù offre il suo sacrificio di lode al Padre che lo ha risuscitato dai morti e noi ci uniamo a lui con il nostro rendimento di grazie per i doni ricevuti dalla sua morte e risurrezione. In questa celebrazione abbiamo dei doni particolari per i quali vogliamo unire le voci e i cuori e cantare un grazie corale a Dio: sono per i frutti buoni, i segni di fede e di carità, che sono sbocciarti e cresciuti nella nostra Chiesa duranti gli anni del mio servizio di Arcivescovo.
Per questo tra poco canteremo il solenne inno del Te Deum laudamus, “O Dio ti lodiamo”.
Cantare il Te Deum in questa celebrazione ci riempirà il cuore di consolazione e di speranza perché ci invita a riconoscere che la nostra Chiesa non ha solo deludenti debolezze e fatiche, ma è ricca anche di doni e di grazie ricevuti da Gesù con l’opera del suo Santo Spirito. Canteremo con gioia “O Dio noi ti lodiamo” per il cammino di questi anni perché riconosciamo i segni dell’amore fedele di Gesù crocifisso e risorto per la sua Sposa che ha a Udine. Non solo si è stancato di lei a causa delle sue e nostre debolezze e infedeltà, ma, anzi, ha continuato ad amarla e arricchirla di frutti preziosi di fede, di comunione, di carità.
Possiamo anche aggiungere che Gesù non ha operato da solo per il bene della nostra Chiesa ma ha chiamato anche noi a lavorare nella sua vigna. In questi anni di ministero a Udine ho constatato che molti hanno risposto generosamente alla chiamata a servire la loro Chiesa. Vorrei solo accennare a qualche esempio. Ho incontrato sacerdoti, religiosi e laici animati da una fede viva e da una profonda sete di vivere un rapporto con Gesù; nella Visita pastorale ho ascoltato la testimonianza di migliaia di operatori pastorali nei quali lo Spirito Santo ha acceso un forte amore per il Signore e per la loro Chiesa; sono apparsi in mezzo a noi giovani pronti a dire il loro “si” alla chiamata al sacerdozio; l’esempio del buon samaritano è vivo in tanti volontari che si dedicano a chi è più povero e debole. L’elenco potrebbe continuare. Cantiamo, allora, “Te Deum Laudamus” anche per tutti queste persone che chiamerei “collaboratori dello Spirito Santo”.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: e il Vescovo ha fatto qualcosa per la vigna del Signore che gli è stata affidata quasi quindici anni fa? Forse non toccherebbe a me rispondere. Con semplicità, però, confesso che mi hanno colpito in questi giorni varie (e a volte inattese) espressioni di riconoscenza che mi sono sembrate sincere. Se, pur, con tutti i miei limiti, qualche opera buona ho fatto per l’amata Chiesa di Udine, ringrazio in questo momento davanti a voi lo Spirito Santo che ho sentito costantemente presente nel mio animo e nella mia mente con tante ispirazioni anche imprevedibili. Ringrazio, poi, i tanti fratelli e sorelle che hanno avuto un ricordo costante nella preghiera per il loro Vescovo. Ho la certezza che questa preghiera sia stata un aiuto decisivo per il mio ministero.
Per tutti questi motivi cantiamo allora: “O Dio noi ti lodiamo” e guardiamo con speranza al futuro della nostra Chiesa.
Concludo con un ultimo pensiero rivolto proprio al mio e nostro futuro. Mi sono chiesto cosa possa significare per me diventare Vescovo “emerito” dell’Arcidiocesi di Udine. Ho capito che, anche se non avrò più responsabilità di governo, la Chiesa di Udine resterà comunque la mia Chiesa da amare e da aiutare, pur con una certa distanza fisica. Prometto che lo farò con la preghiera e con l’offerta dei sacrifici. Al mio successore, poi, ho assicurato la mia piena disponibilità ad aiutarlo come crederà meglio. Quanti, infine, vorranno tenere un rapporto con me saranno fratelli e sorelle bene accolti. Fino al giorno, deciso dal Signore, nel quale desidererei essere riportato in questa cattedrale per riposare in pace accanto ai miei predecessori in attesa della risurrezione finale.
Cjars fradis e sûrs, gracie di cûr pai agns che la providence nus à regalât di vivi insieme e mandi a ducj, tal non dal Signôr.