Cari fratelli e sorelle,
nella prima della lettura della Santa Messa di questi giorni stiamo leggendo i primi dodici capitoli del libro della Genesi che ci rivelano la verità e il senso di tutto ciò che ci circonda. Siamo ospitati dentro grande creazione, opera di Dio “buona e bella”. Essa ha il suo compimento nell’uomo, creato maschi e femmina, che è l’opera “più buona e più bella”: «Vide che era una cosa molto buona».
La lettura che abbiamo appena ascoltato ci apre, però, gli occhi su una seconda e tragica verità. L’uomo, creato “ad immagine e somiglianza” di Dio stesso, ha usato la sua libertà per compiere un atto intrinsecamente cattivo con il quale ha sconvolto il suo rapporto con Dio. Da un rapporto di alleanza lo ha trasformato in un diabolico atto di sfida. Il tentatore promette all’uomo che impossessandosi dell’albero “del bene e del male” si sarebbero aperti i suoi occhi e sarebbe diventato come Dio, conoscendo il bene e il male. Questo è il peccato “originale” sia perché sta alle origini della storia umana, sia perché continua ad accompagnare il cammino dell’umanità dagli inizi fino ai nostri tempi.
L’uomo si è fatto affascinare dal padrone della superbia, opponendosi a sua volta a Dio con un terribile atto di superbia. Non ha più orientato verso Dio la propria vita e tutto il creato con sentimenti di lode e di gioiosa riconoscenza. Si è fatto, invece, attirare dal desiderio diabolico di mettersi al posto di Dio e di farsi padrone della verità e del bene e del male. La conseguenza, purtroppo, è stata, e continua a essere, la corruzione di tutta l’opera “bella e buona” della creazione.
Il peccato originale è una realtà estremamente attuale. È la spiegazione del percorso molto problematico e pericoloso che sta compiendo la società e la cultura occidentale nella quale anche noi siamo immersi. Lo hanno intuito con grande chiarezza due uomini e due credenti a cui siamo tutti molto legati: Benedetto XVI e don Luigi Giussani. Illuminati dalla loro fede profonda e dalla loro passione per la verità hanno visto i disorientamenti presenti nella società occidentale e, a volte, anche nella Chiesa. Essi restano un richiamo forte per noi che, un po’ miopi a causa dell’influenza della comunicazione pubblica, rischiamo di non renderci conto che siamo dentro la sfida dell’uomo contro Dio lanciata dal peccato originale.
Come esempio mi limito a citare alcune righe del libro postumo di Benedetto XVI: “Che cos’è il cristianesimo”, (p. 33) che leggevo stamattina; «Qui si impone uno sguardo sul presente. Il moderno Stato del mondo occidentale, difatti, da un lato si considera come un grande potere di tolleranza che rompe con le tradizioni stolte e prerazionali di tutte le religioni, Inoltre, con la sua radicale manipolazione dell’uomo e lo stravolgimento dei sessi attraverso l’ideologia gender, si contrappone in modo particolare al cristianesimo. Questa pretesa dittatoriale di aver sempre ragione da parte di un’apparente razionalità esige l’abbandono dell’antropologia cristiana e dello stile di vita che ne consegue, giudicato prerazionale. L’intolleranza di questa apparente modernità nei confronti della fede cristiana ancora non si è trasformata in aperta persecuzione e tuttavia si presenta in modo sempre più autoritario, mirando a raggiungere, con legislazione corrispondente, l’estinzione di ciò che è essenzialmente cristiano. L’atteggiamento di Mattatia Maccabeo è quello cristiano: “Noi non ascolteremo gli ordini del ì re (della moderna legislazione). Lo zelo autentico prendere la forma essenziale della croce di Gesù Cristo».
Sono parole che Giussani avrebbe sottoscritto totalmente. Benedetto XV fa notare che viviamo dentro uno “Stato” che ha fatto della tolleranza verso tutti i modi di pensare e di vivere il suo vessillo. Contemporaneamente, però, accentua una crescente opposizione contro la dottrina e, in particolare, l’antropologia cristiana. Siamo di fronte ad un’evidente contraddizione tra tolleranza e intolleranza che, per altro, se la si fa notare si ricevono reazioni aggressive. La sua radice è ancora il peccato originale che si perpetua. È, cioè, la pretesa dell’uomo moderno di crearsi con la sua ragione la verità sull’uomo (vedi il riferimento alla teoria del gender) e su mondo; una verità che deve andar bene a tutti e che è più valida delle dottrine e delle morali delle varie religioni considerate prerazionali. Non si accetta che la verità sull’uomo e sul mondo possa essere offerta solo da Colui che li ha creati. Non si accetta che Egli ci abbia fatto un ulteriore atto di misericordia rivelando Se Stesso e il suo “Logos” (“Pensiero”) ad Abramo e in Gesù Cristo. L’uomo vuole ancora farsi padrone “del bene e del male” e vuole imporlo anche con interventi legislativi. Con un’acuta espressione, Benedetto XVI definisce questo atteggiamento “un’apparente razionalità” mentre, di fatto, è una specie di follia perché porta al degrado dell’uomo.
Contro questo peccato originale, che si perpetua, i cristiani sono chiamati a contrapporre un giusto “zelo” per la causa di Dio che, poi, è anche la causa dell’uomo; ripetere, come Mattia, «Noi non ascolteremo gli ordini del re (o del legislatore)». Non si tratta di avere uno zelo aggressivo perché, come ricorda sempre Papa Ratzinger, esso ha «la forma della croce di Gesù»; ma uno zelo umilmente coraggioso. Per essere capaci di tale zelo è necessario essere illuminati dalla Parola di Dio che aiuta a riconosce dove sta l’insidia del peccato che è subdolamente introdotta dai professionisti della persuasione di massa.
Ognuno di noi può esercitarlo personalmente nei contesti in cui vive e in compagnia con altri fratelli che condividono la stessa fede e la stessa lucidità nel capire il tempo in cui viviamo.
Credo che questa sia una delle missioni che Giussani ha pensato per la “compagnia” di Comunione e Liberazione e che resta più che mai attuale.