Omelia in occasione delle esequie di mons. Tarcisio Lucis (18 maggio 2017)

18-05-2017

Cari fratelli e sorelle,

«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna». Con queste parole, che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo, Gesù rivela ai discepoli il significato della sua vita, della sua morte in croce e della sua risurrezione. E li chiama a seguirlo sulla stessa strada; ad essere anch’essi un chicco di grano che non si preoccupa di conservare se stesso ma che ha trovato lo scopo della sua esistenza t nel dare tutto se stesso imitando il suo Signore.

 

Ci siamo riuniti per partecipare alla S. Messa di esequie del caro e stimato don Tarcisio Lucis che, dopo una lunga e invalidante malattia, è passato, come Gesù, da questo mondo al Padre.

 

Ci viene spontaneo ricordare, in questo momento, la sua lunga esistenza durata 90 anni di cui quasi 66 dedicati alla Chiesa e ai fratelli come sacerdote.

 

Personalmente ho conosciuto don Tarcisio quando era già ospite nella Fraternità sacerdotale e il male che lo aveva progressivamente colpito rendeva quasi impossibile un dialogo personale con lui. Ho raccolto, però, diverse testimonianze sulla sua persona e sulla sua opera sacerdotale che mi portano a dire che questo nostro sacerdote ha veramente vissuto accogliendo l’invito di Gesù a seguirlo sulla strada del chicco di grano. Non ha vissuto per se stesso, preoccupato di non perdere la propria vita, ma si è speso con grande generosità trovando nel dono di sé la vera gioia, la stessa gioia che aveva nel suo cuore Gesù.

 

Dalla famiglia aveva ricevuto la fede cristiana che, come un seme, si era subito radicata nel profondo del suo cuore trovando il clima favorevole nella vita parrocchiale di Ribis. Dalla testimonianza dei genitori, parenti e tanti parrocchiani aveva ricevuto una fede solida, autentica che gli aveva fatto conoscere il Signore Gesù e gli aveva insegnato che andava seguito e imitato se si voleva realizzare veramente se stessi.

Molto presto aveva sentito che, per lui, seguire Gesù significava abbracciare il sacerdozio. In questa scelta era sostenuto dall’esempio di altri suoi parenti che avevano consacrato se stessi in questa vocazione. Aveva conosciuto anche l’esempio del cardinal Antoniutti il quale faceva riferimento alla famiglia del giovane Tarcisio.

 

A 24 anni è stato ordinato sacerdote ed è entrato subito con grande entusiasmo in questo servizio alla Chiesa come vicario parrocchiale a S. Giorgio Maggiore e a Tricesimo per dedicarsi, poi, per 20  anni, come parroco, alla comunità di Sappada e successivamente a Latisana. Da Latisana è tornato nel suo nativo Roiale come amministratore di Qualso e, poi, nel santuario di Ribis. L’inesorabile malattia lo ha costretto, alla fine, ad affidarsi alle amorevoli cure del direttore, delle suore e di tutto il personale della Fraternità sacerdotale.

 

Ha vissuto anni di intenso ministero sacerdotale che hanno lasciato in tutti coloro che lo hanno avuto come pastore un profondo e riconoscente ricordo di don Tarcisio. Sentendo parlare di lui in questi anni da confratelli e da fedeli, mi sono fatto l’idea che don Tarcisio si è veramente speso per le comunità cristiane in cui è stato mandato e per le persone che ha incontrato. Mi è stato descritto come un sacerdote di profonda fede coltivata con una seria vita spirituale e di preghiera. Un pastore che si dedicava alla parrocchia con entusiasmo e con intelligenza senza risparmio di forze. Un educatore che ha segnato col Vangelo la coscienza e la vita di molti giovani. Mentre si occupava della vita comunitaria aveva anche una fine sensibilità verso le famiglie e le persone sapendo ascoltare e sostenere nei momenti di prova della vita.

 

Alla fine la volontà di Dio – che a volte è proprio misteriosa – gli ha chiesto di vivere come il chicco di grano dentro la debolezza totale di una malattia che lo ha veramente spogliato di tutto e che si protratta in un lungo calvario durato 8 anni, fino alla morte. A noi non è stato possibile capire che cosa il Signore ha chiesto a don Tarcisio negli ultimi anni della sua esistenza e del suo sacerdozio. Siamo, però, certi che in questo momento Gesù, Buon Pastore, glielo sta rivelando e accoglie nella sua gioia pasquale questo suo discepolo e servo fedele.

 

A noi resta da offrire a don Tarcisio il grande atto d’amore della preghiera di suffragio. Per intercessione di Maria, Madre nostra, lo raccomandiamo alla misericordia di Dio come un sacerdote che si consumato nel servizio al Vangelo come il chicco di grano e che, alla fine, si è abbandonato tutto alla volontà del Padre come Gesù in croce.

 

Secondo le parole di San Paolo, dopo il peso della tribolazione abbia una quantità smisurata di gloria. 

 

Ribis, 18 maggio 2017