Letture: Rom 8,14.23; Gv 5,24-29
Cari fratelli e sorelle,
con questa Santa Messa di esequie accompagniamo l’amato e stimato mons. Franco Frilli che, a quasi 87 anni, è giunto alla meta della sua vita o, secondo la bella espressione della tradizione cristiana, alla meta del suo “pellegrinaggio terreno”; un pellegrinaggio impreziosito dal dono della fede, del battesimo e, a 27 anni, del sacerdozio. La Provvidenza di Dio Padre lo aveva dotato di ricchi talenti ed egli, come il servo fedele della parabola evangelica, non li ha sprecati, ma li ha investiti nel modo migliore; cioè, donandoli per arricchire anche gli altri. Dal suo curriculum che ho avuto tra le mani, si coglie come abbia messo a disposizione con generosità le sue doti dedicandosi ad una ricerca scientifica che non fosse fine a se stessa ma che risultasse utile, appassionandosi alla formazione delle nuove generazioni, impegnandosi nella guida e nel coordinamento di importanti istituzioni come l’Università e varie commissioni regionali e nazionali. Altri, che hanno condiviso di persona il percorso di mons. Franco Frilli, potranno ricordare molto meglio i tanti campi in cui egli ha donato generosamente questi suoi talenti.
Da parte mia desidero ricordare, in particolare, quello che è stato l’avvenimento che ha segnato la svolta decisiva della sua vita. Alla Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, come giovanissimo assistente, era avviato in una promettente carriera. A un certo momento, però, fu toccato da una Parola diversa da tutte le altre; era la parola di Gesù che lo chiamava a diventare suo sacerdote. Abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni: «Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato ha la vita eterna». Don Franco ascoltò quella parola e credette fermamente in Colui che gliel’aveva fatta giungere nel cuore. Aiutato da padre Agostino Gemelli in persona, intraprese così il cammino di formazione al sacerdozio, che ricevette nella diocesi di Novara.
Dopo l’ordinazione, padre Gemelli ebbe un’intuizione, anch’essa decisiva per la vita di don Franco. Non lo invitò, come ogni altro sacerdote, a interrompere l’iter accademico e a dedicarsi alla vita parrocchiale come vicario e parroco. Ottenne, invece, dal Vescovo, che don Franco restasse dentro il mondo universitario, dicendo: «Un prete ricercatore in una Facoltà scientifica non ci sta male». Si aprì così per lui un campo particolare a cui dedicare il suo cuore sacerdotale. Era il rapporto con migliaia di giovani studenti e con tanti colleghi dai quali si è fatto sempre stimare. Ma c’era anche il campo impegnativo e stimolante del dialogo tra ricerca scientifica e fede, la cui importanza è stata evidenziata, con rara profondità, anche da Papa Benedetto XVI che ci ha lasciato pochi giorni fa.
Don Franco si è così speso dentro il mondo laico dell’università e delle istituzioni civili con grande professionalità dentro la quale ha messo il suo cuore e la sua testimonianza sacerdotale.
Il suo animo sacerdotale lo ha portato anche a sentirsi sempre profondamene inserito nella Chiesa di Udine, nella quale era stato incardinato dopo essere entrato come professore ordinario nell’università recentemente fondata. Anche per la sua Chiesa si è reso disponibile a compiti importanti di responsabilità: ricordiamo il MEIC, l’Istituto “Pio Paschini” e altri.
Un posto particolare, poi, lo ha avuto la sua parrocchia della Beata Vergine del Carmine, per la quale si è sempre reso disponibile nelle celebrazioni liturgiche e nella formazione di giovani e adulti, facendosi veramente benvolere.
Gli ultimi anni della sua lunga esistenza sono stati segnati da dolorosi problemi di salute che hanno comportato inabilità, debolezza e una certa solitudine. Credo di poter dire che dentro questo crogiuolo è emerso il cuore più profondo di Franco, capace di non abbattersi, di conservare la serenità con il bel sorriso così comunicativo che lo caratterizzava.
Con questo sorriso mi ha accolto nella mia ultima recente visita, fatta a lui e alla sorella. Mi ha ripetutamente ringraziato per la visita, ma avrei dovuto ringraziarlo io perché mi ha trasmesso una serenità che sgorgava dalla sua fede e dall’affidamento fiducioso in Cristo. Da quanto mi è stato riferito, con questa serenità ha affrontato anche il passo della morte. E noi lo affidiamo alla misericordia di Dio, perché, al termine di un pellegrinaggio lungo, ricco di esperienze e anche sofferto, possa partecipare alla gloria di Gesù Cristo risorto come ci ha promesso San Paolo nella prima lettura: «Se prendiamo parte alle sue sofferenze possiamo partecipare anche alla sua gloria».