Cari Fratelli e Sorelle,
nella Sacra Scrittura quando si parla della morte dei grandi patriarchi si dice: “Spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di anni”. È così che muore l’uomo giusto; l’uomo, cioè, che ha speso la sua esistenza mantenendosi fedele a Dio e alla vocazione a cui Dio lo aveva chiamato.
Con queste parole del Libro sacro oggi possiamo ricordare anche il nostro amato e stimato don Remigio Tosoratti. Quando mi è stata comunicata la sua morte mi è tornata subito in mente l’ultima visita che gli ho fatto, poco tempo fa, e che mi è rimasta nel cuore.
Nel colloquio mi ha confidato che era “sazio di anni”, quasi 99 di cui ben 75 consacrati a Gesù e alla Chiesa nel sacerdozio. Ormai era solo in attesa della visita ultima del Signore e quasi si lamentava che egli tardasse a bussare alla sua porta e a prenderlo con sé nella vita eterna. Mi faceva, però, queste confidenze con una ammirevole serenità di fronte alla morte. Si vedeva che stava vivendo veramente, come dice la Parola di Dio, “una felice canizie”, una vecchiaia invidiabile. Andava incontro alla morte proprio come i grandi patriarchi del popolo di Dio. Era pronto a riconsegnare, con piena fiducia, a Dio Padre la vita che aveva ricevuto e che aveva speso lungo tanti anni di fedeltà alla missione a cui la volontà di Dio lo aveva chiamato fin da bambino, quando alla nonna, prima che ai genitori, aveva confidato il suo grande desiderio di diventare sacerdote.
A don Remigio Dio ha riservato la grazia di una morte da uomo giusto, contento di come aveva impegnato la sua lunga esistenza, con il cuore riconciliato con il Signore e con i fratelli.
Ma è una grazia che egli si è meritato perché era stato un uomo fedele al suo ministero sacerdotale e dedicato al bene dei fratelli che gli erano stati affidati. Portava impressa nella mente e nel cuore una frase del suo parroco, mons. Egidio Fant: “A casa mia una cosa sola non si perdona ai sacerdoti: l’egoismo”. E aggiungeva in un’intervista per il 70° di sacerdozio: “Bisogna dimenticare i propri interessi e quando incontri una persona ti devi sempre ricordare che non hai davanti un numero, ma un essere unico. Bisogna rispettarlo, ascoltarlo e saper proporre le cose essenziali”. Chi ha avuto il dono di conoscere e di frequentare don Remigio può oggi testimoniare che questa è stata la sua regola di vita.
Aveva ricevuto dalla Provvidenza dei bei doni; un’intelligenza vivace e ricca di interessi per la cultura, la musica e la poesia; una personalità armoniosa, serena e comunicativa; capacità anche di organizzare e di realizzare.
Come chiede Gesù nella parabola dei talenti, don Remigio ha investito tutti i suoi numerosi talenti nella sua vocazione di sacerdote e di pastore e così tante e tante persone ne hanno potuto godere ricevendo da lui accoglienza, calore, orientamento e formazione. Ne hanno goduto molti giovani a cui si è sempre dedicato in modo particolare; da giovane sacerdote nelle parrocchie di S. Leonardo e di Ronchis di Latisana e, poi, nel santuario di Madonna di Strada di S. Daniele e qui a Farla dove ha concluso il suo ministero.
Qui, però il ricordo di don Remigio potrebbe arricchirsi di tanti particolari che voi, cari fedeli, potreste raccontare meglio di me.
Non voglio, però, dimenticare quello che è stato il segreto profondo che ha dato forza a don Remigio lungo tutta la sua vita e che lo ha sostenuto anche nei momenti di fatica e di prova che non sono mancati.
A chi gli chiedeva nel 70° di sacerdozio quali fossero le cose essenziali per cui era vissuto e che aveva cercato di insegnare agli altri, rispose: “Innanzitutto la messa, la domenica. Gesù ha detto: fate questo in memoria di me. La messa deve essere il punto di partenza nella vita di un credente. Chi non va a messa prima o poi si perde”.
La Santa Messa celebrata quotidianamente, la comunione con Gesù nell’eucaristia è stata la sorgente vitale che poi ha riversato nel suo servizio al prossimo. Per don Remigio sono state linfa vitale le parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia me vivrà per me”.
Egli, come dovrebbe fare ogni sacerdote, ha veramente reso presente tra di noi l’amore di Gesù Buon Pastore; ma ha potuto farlo perché viveva di Gesù e rinnovava ogni giorno la sua comunione con lui nella Santa Messa. Questa comunione ha voluto riceverla sempre, fino alla fine e lo ha accompagnato come viatico verso la vita eterna.
Con questa Santa Messa di esequie noi affidiamo a Dio Padre e alla sua misericordia il caro don Remigio sicuri che sono state scritte anche per lui le parole del libro dell’Apocalisse appena ascoltate: “Beati i morti che muoiono nel Signore. Essi riposeranno dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono”. Abbiamo la certa speranza che don Remigio è andato verso il Signore risorto accompagnato da tante opere di bene. Goda, allora, la gioia eterna nella comunione dei santi e interceda per noi.