Omelia in occasione della Santa Pasqua 2019 (21 aprile 2019)

21-04-2019

Cari Fratelli e Sorelle,

nel messaggio che ho scritto per Pasqua ricordavo il saluto che tradizionalmente si scambiavano i cristiani, specialmente delle Chiese orientali. Uno diceva: «Cristo è risorto!» e l’altro rispondeva: «È veramente risorto!».

Il saluto è una parola che ci sale spontaneamente dal cuore quando incontriamo una persona che conosciamo e con cui abbiamo legami di affetto e di amicizia. Incrociando per strada un estraneo di solito non ci fermiamo a salutarlo perché non c’è niente che ci lega e non abbiamo nulla da dirci.

Tra due cristiani non c’era saluto più bello e sincero di questo: «Cristo è risorto! È veramente risorto!». Con queste parole, infatti, essi si scambiavano l’un l’altro il sentimento più profondo che avevano nel cuore. E questo sentimento era la loro fede e la loro speranza in Cristo che era risorto.

Salutandosi essi professavano assieme e ad alta voce la stessa fede e si sentivano uniti da un rapporto molto profondo. Si sentivano veramente fratelli e sorelle tra loro congiunti non da un legame di sangue o di amicizia umana ma dalla stessa fede e della stessa speranza in Gesù risorto. Si riconoscevano partecipi di una stessa famiglia che Gesù stesso aveva creato riunendo coloro che avevano posto in lui la loro fede e la loro speranza. Questa famiglia è la Chiesa che si arricchisce sempre di nuovi fratelli e sorelle. Ad esempio, sono entrati a farne parte 13 nuovi fratelli e sorelle che questa notte durante la Veglia pasquale, che ho celebrato qui in cattedrale, hanno ricevuto il battesimo, la cresima e hanno fatto la loro prima comunione con Gesù nell’eucaristia.

In questa Santa Messa di Pasqua, desidero riprendere anch’io l’antico saluto cristiano e non dirvi solo  «buon giorno» o «buona Pasqua» ma: «Cristo è risorto!». E spero che dal cuore di molti di voi salga anche la risposta: «È veramente risorto!».

Vi dico col cuore e con convinzione «Cristo è risorto!» perché, pur in mezzo alle mie debolezze e incertezze personali, credo di poter dire che le scelte che ho fatto nella mia vita trovano il loro solido fondamento nella fede in Gesù e in Gesù che ha vinto il male e la morte risorgendo il mattino di Pasqua. Se da ragazzo ho deciso di impegnare la mia vita nel sacerdozio e nel celibato e se, più avanti negli anni, ho obbedito al Papa che mi chiedeva di diventare vescovo, riconosco che la forza di fare serenamente queste scelte mi è venuta dalla fede in Gesù. Nelle sue mani ho messo e ogni mattina rimetto la mia persona sicuro che non mi abbandonerà mai, in eterno, perché lui è il Figlio di Dio che ha vinto il male e la morte e ha promesso: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28).

Mi sono di conforto in questa mia fede e speranza dei testimoni ben più grandi di me: i martiri. Sempre nel messaggio pasquale ricordavo l’esempio di sette vescovi greco-cattolici romeni morti sotto il regime comunista e che il Papa dichiarerà beato il prossimo 2 giugno. Mi ha appassionato in questo tempo leggere alcune loro testimonianze che sono state pubblicate anche in italiano; ad esempio, del vescovo Ploscaru o del card. Hossu.

Sottoposti a prigionie e torture di ferocia diabolica, non hanno ceduto nella loro fede e nell’amore per la Chiesa di cui erano pastori, continuando a seguire le diocesi anche dal carcere- Da dove hanno attinto la forza per sostenere fisicamente e psicologicamente anni di isolamento in celle invivibili e per tenere alta la loro dignità di uomini e di cristiani? Leggendo le loro testimonianza emerge chiara la risposta: la loro forza è stata la fede e la speranza in Gesù risorto. Gesù era con loro e nelle sue mani di crocifisso e risorto avevano posto la loro speranza. Il vescovo Ploscaru confesserà che la sua cella angusta e umida era diventata il suo eremo come di un monaco. Si sentivano, come Gesù crocifisso, dei chicchi di grano che marcivano per amore nelle segrete del carcere  per portare frutti di vita nuova ed eterna. E continuano a portarli. Continuano ad essere testimoni di quanto possa essere forte la speranza di chi crede in Gesù risorto.

Cari fratelli e sorelle, mi auguro che la Pasqua risvegli nel nostro cuore la speranza che scopre chi crede in Gesù risorto. I martiri dei carceri comunisti e tutti i martiri ci mostrano come questa sia una speranza invincibile anche di fronte alle cattiverie del male e alla minaccia della morte. Chi ha questa speranza trova in sé la forza per spendersi per amore, in qualunque condizione e senza troppi calcoli, perché sa che consumare l’esistenza per amore significa consumarla come ha fatto Gesù e risorgere con lui alla vita eterna.

Chiedo questa grazia pasquale per ognuno di noi mentre torno a rivolgervi l’augurio: «Cristo è risorto; è veramente risorto».

Cattedrale di Udine, Santa Pasqua 2019