Omelia in occasione della Santa Messa del Crisma (30 maggio 2020)

30-05-2020

Cari Fratelli e Sorelle,

confesso che mi è stato più difficile del solito preparare questa omelia perché mi si accavallavano in mente tanti pensieri. Alla fine ho decisivo di condividere con voi la convinzione (che è anche una speranza) che ho sentito più forte: che questa Santa Messa del Crisma, che celebriamo in condizioni straordinarie, è un segno forte che il Signore Gesù risorto è in mezzo a noi e ci sta donando una grazia speciale per vivere il difficile tempo di prova che stiamo attraversando. È una grazia per tutti noi, riuniti in cattedrale, e per la nostra Chiesa diocesana. Lo è, in particolare, per il nostro Presbiterio, vescovo e sacerdoti, a cui desidero rivolgermi più direttamente come in un momento di dialogo fraterno, dialogo nel quale inserisco anche i diaconi.

Ci sono dei piccoli fatti che mi hanno suggerito la convinzione che questa celebrazione porti con sé una grazia particolare.

Il primo dato di fatto è che l’emergenza epidemiologica ci ha costretto a spostare la Santa Messa del Crisma dal suo appuntamento tradizionale della mattina del Giovedì Santo alla vigilia della Solennità della Pentecoste. È un momento particolarmente significativo per noi, vescovo e presbiteri, perché il nostro sacerdozio è stato generato da una speciale effusione  dello Spirito Santo, sceso su di noi nell’ordinazione sacramentale. Il rinnovo delle promesse sacerdotali, che vivremo fra poco, potrà essere, per questo, un momento di più intensa risonanza spirituale mentre pregheremo lo Spirito Santo che ravvivi in noi il dono allora ricevuto, per le mani del vescovo.

Possiamo, poi, aggiungere che non era scontato trovarci qui questa mattina. Come sappiamo, infatti, era lasciata alla decisione dei vescovi se celebrare o meno la Santa Messa del Crisma purché fosse entro il tempo pasquale. Personalmente desideravo farla. Ho creduto giusto, però, ascoltare il parere dei vicari foranei e di altri collaboratori. Ho colto subito un desiderio unanime di non rinunciare a questo appuntamento perché è sentito come momento bello di comunione e di grazia per la nostra Chiesa e, in particolare, per il nostro Presbiterio. Per non perdere questa grazia abbiamo voluto essere uniti in una comunione che lo Spirito Santo rafforzerà.

Ancora un fatto significativo ha preceduto questa celebrazione. In questi quindici giorni ci siamo ritrovati in congrega di forania per rivederci in faccia e proseguire assieme il cammino. Sono stati – e penso non solo per me – incontri edificanti perché non ci siamo rivisti solo in faccia ma anche in una sincera comunione di cuore e di fede; per altro, con la partecipazione quasi totale. Questa Santa Messa diventa, così, il punto di arrivo anche degli incontri foraniali. Uniamo all’offerta che Cristo fa di sé al Padre e alla Chiesa anche le esperienze, le sofferenze, le speranza e le preoccupazioni che abbiamo condiviso con tanta libertà. Le offriamo per la nostra Chiesa, per ogni comunità che ci è affidata, per le famiglie e per ogni fedele.

Troveremo altre occasioni per raccogliere quanto è emerso dagli incontri foraniali e farne tesoro. Mi limito solo a ricordare un’esperienza che tanti hanno confessato di aver fatto. La richiamo perché mi sembra anch’essa un bel segno dell’opera dello Spirito Santo in questo tempo di prova. 

La condizione un po’ “monastica” dei mesi scorsi è stata descritta  con espressioni, a mio parere molto significative, quali: “è stato come un corso di esercizi spirituali”, “c’è stato più tempo per la preghiera, per la meditazione e per la lettura di libri di qualità spirituale”, “la sospensione del ritmo frenetico delle tante cose da fare ha permesso di rientrare in contatto profondo con se stessi”, “la celebrazione  dell’eucaristia, con i banchi vuoti davanti, ha aiutato a riscoprire che c’è una comunione spirituale con la comunità che si esprime nella preghiera di intercessione”.

Queste espressioni rivelano che il digiuno di attività e di rapporti non ci ha disorientati e messi in crisi ma, al contrario, ci ha portato ad un maggior contatto con la nostra interiorità grazie al quale sono venute a galla domande importanti: che senso ha il mio essere prete nell’attuale contesto sociale? Una volta spogliato delle attività per le quali le persone mi riconoscono utile, che cosa mi resta? A che scopo sono prete? Qual è la mia identità e il mio compito proprio?

Posso dire che queste domande sono affiorate anche alla mia coscienza in questo tempo e le ho considerate una vera grazia dello Spirito Santo perché mi aiutano ad essere onesto fino in fondo con me stesso non accontentandomi della considerazione degli uomini ma mettendo la mia coscienza davanti a Gesù Cristo. Mi sono sentito in sintonia con San Paolo che scrive: «Come Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio che prova i cuori» (1 Tess 2,4). 

Questo tempo di deserto e di spoliazione può essere occasione favorevole per ritrovare l’essenziale del nostro essere preti; un’essenziale che abbiamo ricevuto da Dio e non dal riconoscimento delle persone. 

Questo ci suggerisce anche la prima lettura e il Vangelo appena ascoltati: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio». Come su Gesù, anche sopra di noi si è posato lo Spirito del Signore e ci ha consacrato con la sua unzione. È questa unzione che ci legittima ad andare all’ambone per predicare il Vangelo, a donare il perdono di Cristo ai peccatori, a presiedere l’eucaristia consacrando il pane e il vino in Corpo e Sangue di Gesù, a porci come guide della comunità.

È bello ricordarcelo ed è una grazia se il tempo di spoliazione che abbiamo vissuto ce lo ha fatto riscoprire. Non sono le nostre doti personali o il consenso delle persone che giustificano il nostro ministero e l’autorità che di fatto esercitiamo nella Chiesa. I fedeli accolgono da noi la Parola di Dio, il perdono dei loro peccati, il Corpo di Cristo nell’Eucaristia perché credono che noi siamo dei consacrati e realmente Gesù opera con la sua potenza in noi.

Con loro noi rendiamo lode a Dio perché anche il nostro ministero fa parte dei doni gratuiti che Cristo fa alla sua Chiesa. Oggi innalziamo una particolare lode a Dio Padre con i confratelli che festeggiano un giubileo di ordinazione perché sono stati e continuano ad essere un suo dono nella nostra Chiesa. 

Accogliamo nella nostra preghiera i confratelli che per età o per malattia o perché sono lontani non hanno potuto essere fisicamente tra noi. Grazie, alla consacrazione ricevuta, continuano sempre ad essere un dono di Cristo per i fratelli.

A causa della sospensione del ritiro di inizio quaresima, non abbiamo potuto riservare un ricordo particolare a S. E. Mons. Pietro Brollo e agli altri confratelli che ci hanno preceduto nella Casa del Padre. Troveremo l’occasione opportuna e intanto in questo momento uniamo l’offerta che Cristo fa di sé al Padre anche le loro vite consumate nel ministero. 

Continuiamo, adesso, la celebrazione rinnovando le promesse sacerdotali ognuno personalmente e tutti assieme, come con un cuore solo. E si rinnovi all’interno del nostro Presbiterio una particolare effusione dello Spirito Santo, Spirito di comunione e di profezia per questo tempo nuovo e imprevedibile che stiamo attraversando. 

Cattedrale di Udine, 30 maggio 2020