Omelia in occasione della «Giornata diocesana dei migranti cattolici» (3 giugno 2018)

03-06-2018

Cari Fratelli e Sorelle,

la Giornata diocesana dei cattolici immigrati – che è ormai una nostra bella tradizione –  la stiamo vivendo quest’anno all’interno di un’altra grande festa della Chiesa: la festa del Corpus Domini, del Corpo e Sangue di nostro Signore Gesù. Questa è una coincidenza molto significativa sulla quale desidero attirare la vostra attenzione.

Perché questa mattina ci troviamo uniti con gioia qui in Cattedrale attorno al vescovo e agli altri sacerdoti che concelebrano? Cosa ci fa stare assieme volentieri proprio come fratelli e sorelle che formano una sola, grande famiglia, anche se veniamo da paesi, culture, razze diverse?

Troviamo la risposta a queste domande nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato. Erano i giorni in cui gli ebrei celebravano la Pasqua mangiando l’agnello e ricordando la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Gesù sa che quella è l’ultima Pasqua che vivrà su questa terra con i suoi apostoli perché è giunto per lui il momento donare tutto se stesso nella sua passione e morte in croce per risorgere il terzo giorno.

Egli manda due dei discepoli a preparare la festa della Pasqua; ma, di fatto, ha già previsto e preparato tutto lui. Ha già trovato la sala per la cena pasquale e l’ha già fatta arredare con tutto il necessario. Ma, specialmente, ha riservato ai suoi apostoli una straordinaria sorpresa: quando sono seduti attorno alla stessa tavola, non offre loro da mangiare l’agnello pasquale, ma un pezzettino dell’unico pane che tiene in mano e dice: «Prendete, questo è il mio corpo che offro per voi». Poi fa passare tra loro un calice perché bevano tutti un sorso di vino e dice: «Questo è il mio sangue dell’alleanza che io verso per voi e per molti».

Gesù crea una nuova alleanza tra lui e i suoi apostoli e dei suoi apostoli tra di loro. Essi, da bravi ebrei, sapevano bene che c’era stata un’antica alleanza che i loro antenati avevano fatto con Dio sul monte Sinai, guidati da Mosè. Quell’alleanza era stata fatta nel sangue perché Mosè aveva immolato un animale e aveva sparso il suo sangue sia sull’altare, segno della presenza di Dio che sul popolo riunito attorno all’altare.

Nell’ultima cena Gesù rivela agli apostoli che lui stesso stava creando una nuova  alleanza. Stava creando una comunione profondissima con loro perché offriva da bere ad ognuno il suo stesso sangue e da mangiare il suo stesso corpo. Stava creando tra gli uomini una nuova comunità che si sarebbe chiamata: Chiesa. Una comunità nella quale tutti sarebbero stati assieme come fratelli e sorelle anche se erano bianchi o neri, uomini o donne, piccoli o vecchi, ricchi o poveri, friulani o stranieri.

Questo è un miracolo perché sappiamo per esperienza quanta  fatica facciamo ad accettarci gli uni con gli altri con cuore aperto. Facciamo fatica dentro le famiglie, nei posti di lavoro, nella società. Abbiamo sempre la tentazione a stare lontano da chi è diverso da noi, a rifiutare chi non si comporta come farebbe piacere a noi.

Gesù comincia il suo miracolo – il miracolo della nuova alleanza – durante l’ultima cena donando il suo corpo da mangiare e il suo sangue da bere agli apostoli. In quel momento egli crea la Chiesa che è la famiglia di coloro che credono in Gesù, che sono stati battezzati in lui e che si riuniscono per celebrare l’eucaristia, mangiando il suo corpo e il suo sangue.

Questo miracolo di Gesù è continuato lungo i secoli e ha tenuto viva e unita la Chiesa nonostante tante miserie e peccati di noi uomini. Quando la predicazione del Vangelo, partendo da Gerusalemme, è arrivata in Grecia, a Roma, in Africa, in America, in Asia, dovunque coloro che sono diventati cristiani si sono riuniti per celebrare la stessa eucaristia e mangiare lo stesso corpo e sangue del Signore Gesù. E, così, sono diventati fratelli e sorelle di Gesù e fratelli e sorelle tra di loro al di là di razze e di costumi diversi.

Gesù rinnova il suo miracolo anche tra di noi questa mattina. Non sono più importanti le differenze che ci distinguono. È importante che mangiamo il corpo di Gesù nell’eucaristia e. così, ci troviamo tutti uniti in Gesù; una sola famiglia, una sola Chiesa, uniti in un’unica alleanza.

In questi anni mi sono molto impegnato perché i cristiani che vengono da paesi e tradizioni diverse abbiamo alla domenica anche una S. Messa celebrata nella loro lingua e secondo la loro tradizione. Ricordiamoci, però, sempre che questo non deve dividerci, ma unirci tutti. Non c’è l’eucaristia dei nigeriani, dei romeni, degli indiani, dei friulani ma è l’unico corpo di Gesù che condividiamo tutti e che ci unisce tutti a lui e tra di noi come fratelli e sorelle. Se viviamo questa unità, allora anche le diversità di canti, di riti, di tradizioni non dividono ma, anzi, diventano una ricchezza.

Con questo spirito continuiamo, allora la nostra celebrazione eucaristica e tra poco saremo invitati alla mensa del Signore, come gli apostoli nell’ultima cena. Mangiamo il corpo del Signore e usciremo di chiesa più uniti a Gesù e tra di noi facendo vedere a tutti che ci si può accettare e voler bene come fratelli e sorelle.

Ci accompagni e ci protegga la Vergine Maria, madre di Gesù e della Chiesa alla quale abbiamo dedicato la nostra festa di quest’anno col titolo: “tutti fratelli sotto il manto di Maria nostra Madre”.