Omelia alle esequie di don Gio.Batta Del Negro (10 novembre 2020)

10-11-2020

Cari Fratelli e Sorelle,

anche per don Tita è giunto il momento di ammainare la vela e di entrare nel porto della pace eterna dopo una navigazione durata 84 anni, di cui 58 donati, con grande generosità, a Dio e alla Chiesa nel sacerdozio.

Ha oltrepassato la soglia della morte nella solitudine di un ospedale, lontano dagli affetti delle persone che gli hanno voluto tanto bene. Così impongono le limitazioni sanitarie a cui siamo costretti a causa della pandemia. Ma sono sicuro che ognuno di noi, in questo momento, vuole farsi sentire vicino a don Tita. Per questo ci siamo riuniti qui nella sua chiesa di Paularo dove ha ricevuto la fede e i sacramenti e dove si è speso per 29 anni, prima come amministratore e poi come parroco. Qui possiamo essergli veramente vicini nella comunione dei Santi e il nostro affetto, che si trasforma in preghiera di suffragio, può fargli veramente del bene. Giunge davanti a Gesù accompagnato dal nostro amore e dalla nostra preghiera.

Don Tita lascia in eredità a ciascuno di noi un po’ di se stesso, della sua fede genuina e della sua calda umanità, proprio come il chicco di grano che ha portato frutti nel cuore di tante persone che hanno avuto la gioia di incontrarlo.

Lascia la sua eredità di fede e di amore alle amate nipoti a cui si è dedicato come un secondo padre, assieme ai loro familiari. A loro va la nostra sentita riconoscenza per come si sono prese cura dello zio nel tempo della sua debolezza.

I confratelli sacerdoti conservano sicuramente in loro un ricordo vivo perché da lui si sono sentiti voluti bene con cuore fraterno e, insieme, con sincerità e schiettezza, ma sempre col desiderio costruttivo di creare comunione.

Dai racconti che ho ascoltato da lui stesso, ho capito che lungo gli anni di vita e di ministero don Tita ha fatto raccolta di tanti amici perché l’amicizia e la passione educativa erano nelle corde del suo cuore. Più volte mi ha parlato con entusiasmo degli anni di servizio tra i ragazzi dell’Istituto Friulano per la Gioventù e del Centro di Formazione Professionale e delle amicizie che, dopo tanto tempo, ancora conservava.

E poi ci sono gli anni di parroco qui a Paularo e, successivamente, anche a Dierico. Quando sono venuto qui a fargli visita o a celebrare ho portato con me l’impressione di un autentico pastore che, come dice Papa Francesco, “aveva fatto proprio l’odore del gregge” portando sempre tra le persone “il profumo di Cristo” grazie alla sua fede genuina.

Questi brevi cenni non esauriscono certamente la descrizione del bene che don Tita lascia in mezzo a noi. Ognuno potrebbe aggiungere qualcosa.

C’è, però un’ultima eredità che porto nel profondo del mio animo, che non posso tacere e che molti, sono certo, capiranno. Tutte le volte che ho incontrato don Tita, dopo l’incidente che lo ha costretto in carrozzella, sono ripartito con un sentimento di profonda serenità che mi aveva trasmesso col suo sorriso e col suo volto disteso. Quando gli chiedevo come stava, più volte mi ha risposto con animo pacato: “Ho fatto la mia parte; ora sono solo nelle mani del Signore e della sua volontà”.

In quegli incontri ho colto la sua fede profonda e fede purificata dall’ultima croce che l’imperscrutabile Provvidenza gli aveva chiesto. Ho scelto come prima lettura il brano della seconda lettera di S. Paolo ai Corinzi che abbiamo ascoltato perché mi sembra la fotografia dell’ultimo tratto di cammino terreno di don Tita: “Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili, invece, sono eterne”. Nei miei dialoghi con don Tita al Gervasutta e in casa della nipote mi sembrava veramente che egli avesse, con profonda speranza e serenità, ormai lo sguardo fisso sulle “cose invisibili” che lo attendevano; come il servo che ha esaurito il suo compito di dedicarsi ai fratelli e aspetta il suo Signore che passi e gli tenda la mano per portarlo con sé. Questa è l’ultima, preziosa eredità che don Tita ci lascia. Per essa va a lui ancora il nostro grazie mentre, forti della fede e dell’amore che ci ha mostrato, lo raccomandiamo alla misericordia del Padre perché adesso possa contemplare col suo bel sorriso le “cose invisibili” per cui ha speso tutta la sua vita.

Paularo, 10 novembre 2020