Omelia nella S. Messa Crismale del giovedì santo

17-04-2014
Eccellenza, cari sacerdoti, diaconi, seminaristi, consacrate e fedeli laici,

in questa S. Messa del Crisma, il Signore Gesù ci riunisce con la stessa passione di amore con cui raccolse attorno a sé gli apostoli nell’Ultima Cena: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi». Abbiamo risposto all’invito del Signore e siamo qui a pregare unanimi per tutta la nostra Chiesa di Udine. Siamo qui a pregare in particolare per i vescovi e i sacerdoti  che Gesù, durante l’Ultima Cena, ha donato alla Chiesa perché essa possa vivere. Tra poco noi, vescovi e sacerdoti, rinnoveremo le promesse che abbiamo fatto al momento della nostra ordinazione. In quel momento inviterò voi, diaconi, consacrate e fedeli laici, a invocare lo Spirito di Dio perché ravvivi nei nostri cuori il dono che abbiamo ricevuto con l’imposizione delle mani.

Viviamo un momento della missione della Chiesa che è tanto stimolante quanto impegnativo. Per questo, i vescovi e i sacerdoti, chiamati a continuare tra gli uomini l’opera di Gesù, Buon Pastore, hanno bisogno di tante grazie dello Spirito Santo. Tra queste grazie, c’è certamente la virtù della speranza.

Eccellenza carissima e cari confratelli, mentre stiamo vivendo l’Anno della speranza, questa S. Messa  del Crisma sia un momento di grazia che ci fa tornare al nostro quotidiano ministero più forti nella speranza. Le persone, quando ci accostano, si aspettano di trovare in noi la luce serena della speranza e si allontanano amareggiate se respirano nel loro parroco l’aria greve della tristezza e della rassegnazione. Ad un pastore nella Chiesa, non è lecito essere disfattista; deveavere una parola che rincuora le pecore e una grande forza interiore per sostenerle nei momenti di prova. È la forza della speranza.
 
Ho scritto nella lettera pastorale Cristo nostra speranza: «I cristiani sono sempre stati contagiosi per la loro speranza. La loro serenità forte e profonda attira i non credenti verso la Chiesa che è e deve essere  la casa della speranza» (n. 36). Questo è particolarmente vero per noi, vescovi e sacerdoti: essere contagiosi per la nostra speranza.

Però, neppure per noi la speranza è una virtù facile. Confesso con sincerità che non lo è, per lo meno, per me. Quasi ogni mattina mi ritrovo in cappella a pregare e meditare la Parola di Dio proprio per affrontare la giornata con un supplemento di speranza che mi aprail cuore verso le persone che incontrerò, che mi illumini nelle decisioni da prendere, che mi dia serenità e costanza dentro le tante difficoltà che non hanno immediata soluzione.

Spesso mi sento proprio figlio di Abramo che: «che ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli» (Lettera ai Romani). Pur conla mia debole fede, rispetto a quella di Abramo, mi sembra, però, di intuire sempre di più che cosa significhi «sperare contro ogni speranza»; continuare  con fedeltà e serenità il mio ministero di vescovo anche quando le conferme sono poche e ci si sente deboli di fronte alle sfide della realtà.

Quando dedico tempo mattutino di raccoglimento silenzioso alla preghiera e alla meditazione paziente della Parola di Dio, vedo che durante il giorno la  mente e il cuore non si smarriscono dentro alle tante situazioni precarie e agli apparenti fallimenti cheoggi non sono risparmiati ai vescovi e ai sacerdoti.

Con mia sopresa non vien meno una serenità profonda. Lo Spirito Santo mi sostiene con la grazia che diede ad Abramo: quella di «sperare contro ogni speranza». Riconosco che il Signore Gesù mi sta guidando dentro un’avventura straordinaria: l’avventura della speranza, di una speranza, però, che è più grande di ciòche la mia mente può capire e prevedere e che il mio cuorepuò reggere; una speranza che è dono che lievita dal profondo della mia coscienza, là dove agisce lo Spirito Santo.

E suonano vere anche per me le altre parole rivoltead Abramo: «E così divenne padre di molti popoli».

Intuisco che la fecondità del mio ministero di vescovo nella Chiesa di Udine non dipende principalmente dalle mie risorse personali ma da quanto so vivere la speranza, seminando sempre dentro questa Chiesa  e in mezzo ai fratelli la Parola di Dio, la preghiera, piccole e quotidiane gocce di amore, di pazienza,di conforto, di comunione. Seminare sempre, in speranza, senza essere troppo condizionato dai risultati, dall’accoglienza che ricevono i miei sforzi. Ringraziando con gioia quando è dato anche a me di vederele spighe di buon grano.

C’è un’esortazione di Gesù che mi sta educando allasperanza: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).

Queste parole sono impregnate di speranza. Non c’è per me prospettiva più consolante che essere «servo»: «Che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito» (Mt 24,45)! Servo, dunque, «necessario» per assicurare ai propri fratelli il nutrimento necessario; insieme, servo «inutile» perché il cibo è del Signore – anzi è la Parola e il Corpo e Sangue del Signore – e l’esito del raccolto è del Signore. Il Regno di Dio sta crescendo con i suoi tempi che non sono i tempi delle mie attese e in mezzo alla zizzania che a volte nasconde il buon grano. A me èstata data la grazie essere coinvolto nell’avventura del Regno di Dio che ha vinto con la morte e risurrezione di Gesù; essere coinvolto come un servo che si nutre di speranza e, per questo, è «fidato e prudente» nei giorni facili e nei giorni oscuri.

Mi scuso se, volendo parlare della virtù della speranza nella vita dei vescovi e dei presbietri, ho fatto riferimento all’esperienza personale, a come cerco di vivere e nutrire in questo tempo la mia speranza. Più che come magistero, prendetela come piccola testimonianza che consegno senza pretese. Ringrazio il Signore se servirà come stimolo per cercare le radici e le ragioni della sua speranza.

Mentre ci avviamo ora a rinnovare il sacrificio di  Cristo, come ogni anno, ricordiamo i nomi e i volti dei confratelli che dal Giovedì Santo scorso ci hanno lasciato; li abbiamo nominati uno per uno durante la liturgia penitenziale di inizio Quaresima. Li accogliamo dentro la nostra preghiera, una preghiera nutrita dalla certa speranza che essi hanno trovato il loroposto nel banchetto imbandito dal Padre per i servi fedeli.

Ringraziamo Gesù, Sommo Sacerdote, per i confratelli che vivono un anniversario giubilare della loro ordinazione. Ringraziamo anche loro per la testimonianza di essere rimasti servi fedeli lungo tanti anni e in mezzo – almeno per i più anziani – ad epocali cambiamenti.

Riserviamo un saluto riconoscente ai confratelli che vengono da chiese sorelle lontane e offrono il loro ministero nelle nostre comunità durante la Settimana Santa e la Pasqua.

Un ricordo e una preghiera vadano, infine, ai confratelli che non sono fisicamente tra di noi per motivi di salute o perché svolgono il ministero in altre Chiese. Più di qualcuno mi ha assicurato che è spiritualmente unito a noi.

Mi sembra bello nella S. Messa del Crisma ricordareanche tutti questi confratelli e riconoscere che siamo realmente uniti a loro da un legame forte che varcai confini del tempo e dello spazio. Ci tiene uniti tutti Cristo Gesù, qui sulla terra e oltre la morte; per questo confessiamo che solo lui è la nostra Speranza.