Cari Fratelli e Sorelle,
nel Vangelo della S. Messa della quinta domenica di Pasqua ascoltiamo questa consolante promessa di Gesù: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me. Vado a prepararvi un posto». Siamo durante l’Ultima Cena e Gesù stava per affrontare la sua passione e morte. Temeva che i suoi apostoli rimanessero sconvolti e disorientati vedendolo torturato e umiliato fino alla vergogna disumana della crocifissione. Li invita, perciò, a mantenere la fede in Lui al di là di ogni apparenza umana. La croce non sarebbe stata il suo fallimento ma passo finale per giungere, attraverso la risurrezione, al suo “posto” che era alla destra del Padre suo. Lì non si sarebbe dimenticato dei suoi discepoli ma avrebbe preparato un posto anche per ciascuno di loro. Poi sarebbe tornato a prenderli «perché dove sono io siate anche voi».
Gli apostoli compresero il significato di questa promessa di Gesù quando lo incontrarono risorto. Capirono che aveva vinto il male e la morte, che si erano abbattuti sul suo corpo, e con le ferite della passione aveva raggiunto il suo “posto” nella Comunione di Amore perfetto col Padre.
In quel momento credettero veramente in Lui e la loro esistenza cambiò completamente di significato. Essa divenne un pellegrinaggio verso Gesù risorto per occupare il posto che portava il loro nome. Non sarebbe stato un pellegrinaggio facile perché, come il Maestro, avrebbero affrontato molte croci e, alla fine, il martirio; ma la speranza non avrebbe più abbandonato il loro cuore perché sapevano di andare verso il Signore che li aspettava.
La Parola di Gesù e la testimonianza degli apostoli ci ricordano una delle principali caratteristiche che fa da distintivo del cristiano rispetto agli uomini che non hanno il dono della fede. Egli è sostenuto dalla virtù della speranza fondata sulla promessa di Gesù risorto: «Vado a prepararvi un posto. Poi, tornerò e vi prenderò con me».
Per esperienza sappiamo che senza qualche speranza nessun uomo va avanti nella vita perché tutto diventa buio, senza scopo e senza senso. Il vaccino contro il Covid-19, ad esempio, è una speranza che attraversa tutto il mondo e per realizzarla si stanno investendo ingenti capitali. Ognuno può aggiungere tanti esempi personali perché tutti abbiamo delle mete piccole o grandi che ci spronano ad andare avanti perché ci promettono gioia se le raggiungiamo. Spesso sono obiettivi belli che meritano rispetto ma soddisfano per poco tempo la nostra sete di gioia perché siamo esseri col fiato corto. Quando un uomo esala l’ultimo respiro si spengono anche tutte le sue speranze lasciando nei cuori di chi resta la più lancinante delle tristezze. L’abbiamo provata in questi mesi di fronte alla scena di bare allineate nella solitudine.
È qui che Gesù ci è venuto incontro, sulla soglia della morte che cancella tutto. E’ entrato anche Lui nella morte, carico di tutto il male del mondo, e con la potenza del suo Amore ha spalancato, il mattino di Pasqua, una porta nuova di luce e di speranza. Lui l’ha varcata per primo raggiungendo il posto dove non c’è più morte ma la Comunione di vita eterna con il Padre.
Quella porta resta aperta anche per tutti i suoi discepoli che credono in Lui e sono uniti a Lui dal battesimo. Quando un cristiano arriva sulla soglia della morte e tutti dobbiamo abbandonarlo, lo prende Lui con sé, come ha promesso, e lo porta in quella «casa del Padre suo dove vi sono molte dimore». Questa è la grande speranza che egli ha riversato nel cuore degli apostoli, dei martiri, di tutti i santi e anche nel nostro.
A noi, però, tocca camminare sulla strada giusta per arrivare, alla fine del nostro pellegrinaggio, all’appuntamento con Lui. Dobbiamo, con sincerità, confessarci che si può anche sbagliare strada e mancare all’appuntamento decisivo della nostra vita.
Tommaso ha chiesto a Gesù: «Come possiamo conoscere la strada?». Ed egli ha risposto: «Io sono la via». Questa è la direzione giusta: mettere i nostri passi dietro a quelli di Gesù e, all’ultimo giorno, ci saremo all’appuntamento con il suo abbraccio eterno