Cari Fratelli e Sorelle,
la liturgia offre alla nostra meditazione la parabola evangelica del fariseo e del pubblicano che vanno a pregare Dio nel tempio di Gerusalemme. San Luca introduce la parabola ricordando che Gesù la raccontò «per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri».
Il fariseo apparentemente si rivolge a Dio per pregarlo: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri». Di fatto si pone in piedi di fronte a Dio per dichiarare tutto il suo orgoglio di potersi considerare giusto in tutto. A lui Dio non può imputare alcun peccato per cui non ha bisogno della sua misericordia e del suo perdono come invece ne ha bisogno il pubblicano che in ginocchio, in fondo al tempio, si batte il petto. L’orgoglio ha indurito il cuore di quel fariseo sia verso Dio che verso gli altri uomini dai quali si tiene lontano con disprezzo e con un giudizio di condanna: «Non sono come gli altri uomini, ingiusti, adulteri e come questo pubblicano».
Il fariseo se ne tornò a casa non con la coscienza a posto, ma con il cuore ottenebrato dall’orgoglio, il più grave dei peccati. L’orgoglio lo rendeva falso davanti a Dio – del quale presumeva di non aver bisogno perché è già giusto – e insensibile verso il suo prossimo di cui non si interessava se non per condannare.
Le parole che Gesù ci rivolge con la sua parabole sono forti e ci invitano ad un onesto esame di coscienza. Il peccato di orgoglio ha una dimensione personale e più o meno possiamo ritrovarlo anche in noi. Ha anche una dimensione sociale sul quale desidero portare per un attimo l’attenzione. Credo non sia possibile negare che nella nostra società, di cui tutti facciamo parte, è cresciuta la presunzione di non aver bisogno di Dio, della sua misericordia e della sua provvidenza. Come il fariseo, ci si è considerati giusti, capaci di creare un buon progresso sociale senza far riferimento a Dio e al suo amore. Di questo grave e diffuso peccato di orgoglio ha parlato spesso Papa Francesco (ad esempio durante l’Anno santo della Misericordia) e, anche recentemente, il Papa emerito Benedetto XVI.
Purtroppo, come nel fariseo della parabola, l’orgoglio verso Dio indurisce il cuore anche verso il prossimo. Le debolezze e le sofferenze degli altri diventano un fatto sociale da passare sotto silenzio o sui cui dare giudizi sommari. Potremmo fare vari esempi magari anche un po’ scomodi. Mi permetto un richiamo incompleto e su fatti già noti. Penso alle mamme che a causa della solitudine e di varie debolezze sono portate al grave atto dell’aborto. Penso ai tanti anziani indifesi che rischiano di essere valutati solo con criteri economici: o come capitolo di spesa pubblica o come fonte di guadagno. Avverto il rischio che l’assistenza ai malati più gravi e a quanti sono segnati da disabilità privilegi sempre più chi può economicamente. Ci sono, ancora, coloro che giungono tra noi da lontano e in situazioni di precarietà vero i quali non servono reazioni umorali, magari di opposta tendenza, ma una ragionata capacità di valutazione e di accoglienza.
Mi scuso per questo elenco evidentemente lacunoso che ho fatto solo per aiutarci a tenere deste le nostre coscienze sulla presenza in mezzo a noi del peccato di orgoglio verso Dio e dalle sue conseguenze anche sociali.
Nel 1555, la popolazione Udine, provata dalla tragedia della peste venne con il vescovo e le autorità civili in questo santuario davanti all’antica icona della Vergine delle Grazie per fare un voto comunitario. Entrò non con il sentimento del fariseo, ma con quello del pubblicano; chiedendo a Dio perdono e misericordia. Coloro che parteciparono al voto cittadino portavano con sé le sofferenze dei tanti fratelli colpiti dal morbo e verso i quali si sentivano deboli e impotenti. L’ultimo atto di solidarietà che potevano loro offrire era quello di invocare per sé e per loro la misericordia di Dio e l’intercessione materna della Vergine delle Grazie.
In questa Santa Messa che rinnova il voto cittadino, chiedo la grazia che questo sentimento di umiltà e di fiducia in Dio e in Maria si rinnovi a Udine. La nostra città vada contro corrente superando la presunzione di fare senza Dio e tornando a crescere nella fede e nella preghiera. Lo Spirito del Signore troverà, allora, cuori disponibili a sciogliersi in compassione verso i fratelli e le sorelle più deboli e sofferenti. E Udine diventi un modello di rispetto della vita in ogni suo momenti, di sensibilità verso la dignità della persona cominciando dai più deboli, di vita comunitaria solidale secondo le parole del vangelo. Maria, Vergine delle Grazie, sia con noi.