Nelle catechesi dei quattro quaresimali d’arte di quest’anno mediteremo sulle virtù; precisamente, su alcune virtù. È utile, forse, dire una parola introduttiva sua cosa siano le “virtù”. La teologia spirituale classica chiama la virtù “habitus”; cioè, un atteggiamento interiore “abituale”; un nostro modo di essere, di sentire e di pensare che un uomo ha imparato a vivere abitualmente e non solo occasionalmente. Ad esempio, avere di tanto in tanto degli slanci di generosità è cosa buona, ma non significa avere la virtù della generosità. Ha questa virtù chi ha educato la mente e il cuore ad essere normalmente sensibile e disponibile alle necessità di chi gli sta vicino.
Prendiamo in considerazione come prima virtù: l’umiltà.
Il titolo che abbiamo nel libretto definisce l’umiltà: «Principio di ogni virtù». Ed effettivamente l’umiltà sta a fondamento di un rapporto buono con Dio e con i fratelli.
Per capire quanto sia fondamentale questa virtù basta considerare che i due esempi più grandi di umiltà sono Gesù stesso e sua Madre, Maria.
Gesù, come abbiamo sentito nella lettera ai Filippesi, pur essendo Dio come il Padre, spogliò e umiliò se stesso fino a lasciarsi denudare di tutto sulla croce. E i discepoli si propone lui stesso come modello di umiltà dice: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
Maria, nel suo Magnificat canta la sua umiltà: “Ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi diranno beata” (Lc 1,48).
Guardando a Gesù e a Maria, ci chiediamo: chi è l’uomo “umile? È colui che sconfigge dentro di sé il vizio della superbia, dell’orgoglio.
Per restare aderenti all’esperienza che ognuno di noi fa, ci soffermiamo su due manifestazioni dell’umiltà in contrasto della superbia.
- L’umiltà contro la vanagloria. Avere la forza di considerare gli altri superiori a noi stessi Scrive S. Paolo ai Filippesi: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso”.
La “vanagloria”, come indica il termine stesso, è una effimera ricerca di gloria mettendosi in rivalità con gli altri e cercando di mostrarsi a loro superiori. Chi riesce a prevalere sugli altri, in qualche, campo, si sente più importante, con più valore. È uno sforzo effettivamente “vano” perché dura finché non si trova un altro che nella rivalità prevale su di noi; e questo, prima o dopo, capita di sicuro.
A questa forma di superbia si oppone l’umiltà che, invece, “considera gli altri superiori a se stesso”. Non vive, però, questo atteggiamento con rabbia o amarezza, come uno che si sente sconfitto da chi è più forte di lui. Considera gli altri superiori a se stesso con serenità e con la pace nel cuore perché non cerca gloria dal confronto con gli altri. Sa di valere agli occhi di Dio e a lui affida la sua vita e il suo valore sia che sia stimato, sia che sia rifiutato dagli uomini.
Gli altri li considera superiori a sé perché si mette a loro servizio, come Gesù che si è inginocchiato e, come un servo, ha lavato i piedi agli apostoli. Si fa ultimo per servire tutti senza bisogno di mettersi in mostra sugli altri. E’ sostenuto da una grande forza interiore: la forza dell’umiltà.
- L’umiltà vera contro la falsa umiltà.
L’umiltà è una virtù che porta serenità e gioia nel cuore. Così era per Maria che canta il suo Magnificat sentendosi un’umile serva a cui Dio si è degnato di guardare.
C’è chi, invece, vive una falsa umiltà che lo porta a tenersi in disparte, a dichiarare di non valer niente, di non meritarsi eventuali elogi. Ma nel cuore cova sentimento di scontentezza e di amarezza che primo poi viene fuori. Questa è un’apparente umiltà che, di fatto, è superbia camuffata.
Il vero umile riconosce con gioia di non aver fatto nulla con le sue sole capacità ma vede che Dio ha guardato alla sua povertà e disponibilità e ha realizzato cose belle nella sua vita per sé e per gli altri. Per questo, come Maria, la preghiera più spontanea che gli sale dal cuore è quella del ringraziamento.
L’umile ringrazia per quello che è e per la sua vita; il superbo non è mai contento è non sa ringraziare Dio.
A conclusione, suggerisco di far nostra la breve invocazione di Santa Teresa di Lisieux che abbiamo recitato all’inizio: “Gesù, mite e umile di cuore rendi il mio cuore simile al tuo. Amen”.
Udine, 10 marzo 2019