Omelia nella Messa solenne dei Santi Patroni Ermacora e Fortunato (12 luglio 2025)

12-07-2025

Cari fratelli e sorelle,

Il linguaggio di questo brano del Vangelo secondo Luca (21,5-19) appartiene al genere apocalittico, ha tinte forti e paradossali che, comprensibilmente, possono turbare e suscitare sconcerto nell’animo di chi lo ascolta. Di fatto, queste parole di Gesù fanno risplendere la luce della verità sulla sua persona, su noi e sull’umanità intera. È un discorso, quello di Gesù, che precede immediatamente il racconto della sua passione, della sua morte ingiusta e ingiustificabile e della sua risurrezione. Gesù per primo sarà consegnato nelle mani dei suoi aguzzini e questa sarà per lui l’occasione per dare testimonianza: “Tu, dunque, sei il Figlio di Dio?” “Tu lo dici: io lo sono”. Tale discorso può essere compreso, dunque, solo alla luce del mistero pasquale.

Egli fece esperienza del rinnegamento da parte di coloro che lui stesso aveva scelto. Ha anche sperimentato che «nemmeno un capello del suo capo sarebbe andato perduto» (Lc 21,18), così come delle parole del Salmo: «Non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione» (Sal 16,10).

I Santi martiri Ermacora e Fortunato, come tutti i martiri dei primi secoli, hanno ricevuto dai discepoli questa testimonianza di Gesù e l’hanno conservata nei “vasi di creta” delle loro esistenze. Hanno vissuto l’esperienza della persecuzione senza essere scoraggiati, lo sconvolgimento senza perdere la speranza, perché erano convinti che Colui che aveva risuscitato Gesù dai morti avrebbe fatto risorgere anche loro.

Noi, oggi, siamo qui per raccogliere la testimonianza di Gesù Cristo, “Re dei martiri”. Così come raccogliamo l’esperienza di Ermacora e Fortunato e di tutti coloro che, ancora oggi, sono martiri. Sono pietre preziose, scolpite con la croce e il martirio.

Siamo qui anche per sperimentare l’efficacia e l’attualità del messaggio pasquale, in un tempo in cui per tanti versi il messaggio evangelico pare insignificante. Davanti a messaggi apparentemente più efficienti, come quello del potere economico-finanziario, quello delle armi o di una comunicazione non di rado parziale, riduttiva, divisiva e manipolativa, noi siamo qui per annunciare con coraggio e franchezza che solo in Gesù Cristo possiamo trovare la pace. È lui che ha abbattuto – ed è pronto ad abbattere ancora adesso – il muro di separazione tra i popoli per creare ponti.

Siamo qui per annunciare con franchezza e coraggio che solo Gesù Cristo può dare la vita vera per sempre. Come lui ha amato e rispettato ogni persona, così solo lui può aiutarci a rispettarci e amarci in ogni fase della nostra vita: dal concepimento fino alla morte naturale. Siamo qui per annunciare con franchezza che solo Gesù Cristo è fonte di speranza per l’umanità tutta, nessuno escluso.

Giovanni Paolo II, con la forza del suo carisma di successore di Pietro, avrebbe gridato ancora: “Aprite, spalancate le porte a Cristo!”. Lui solo può dare ancora vita, pace e speranza.