Omelia nella Messa con ordinazione diaconale di Manuel Minciotti e Aeneid Ugonna Ozuo (22 febbraio 2025)

22-02-2025

In questi primi mesi qui a Udine mi capita spessissimo di presentarmi: «Piacere, sono don Riccardo». Anche di tanti di voi si sono presentati e credo che in questo presentarci c’è un insieme di buona educazione. Non do mai per scontato che le persone mi conoscano, così come altri non danno per scontato di essere conosciuti. C’è una gentilezza, una cortesia, tante volte anche curiosità. C’è desiderio di condividere esperienze, storie, culture, interessi. È molto bello questo presentarsi.

Ricordo tanti anni fa in una lezione all’Università Gregoriana: l’attuale rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, manifestò con semplicità che anche lui aveva un sincero interesse di conoscere Gesù. Leggeva volentieri quello che lui diceva un documento storico, cioè i Vangeli. Per noi non sono Parola di Dio rivelata, non solo un documento storico.

Io il Vangelo lo leggo volentieri e vi trovo tanti riti, tanti costumi che io riconosco essere presenti ancora adesso nella nostra comunità. È chiaro che nella lettura del testo della Parola di Dio che oggi abbiamo ricevuto in questa celebrazione, durante la quale due nostri fratelli, Aeneid e Manuel, ricevono il dono di diventare diaconi in vista del presbiterato, non c’è un motivo di interesse storico, letterario, culturale.

Perché? Perché per noi che siamo credenti desiderosi di essere sempre più discepoli di Gesù Cristo, nostro Salvatore, l’ascolto della Parola di Dio non è qualcosa di culturale, ma è un modo per presentarci, per identificarci, cioè per comprendere sempre meglio qual è l’identità di Gesù, di Pietro e di conseguenza di ciascuno di noi. Quindi la vostra identità, Aeneid e Manuel.

La scena del Vangelo è ambientata a Cesarea di Filippo: non siamo lontani dalle sorgenti del Giordano, dove, dopo che Gesù è stato battezzato da Giovanni Battista, una voce dal cielo aveva annunziato «Questi – proprio questi! – è il Figlio mio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto. Ed è proprio da qui che Gesù ha mosso i primi passi, con i discepoli dietro di lui, verso Gerusalemme, dove si manifesterà pienamente il mistero Pasquale. Il culmine del mistero Pasquale sarà lui crocifisso. Là riceverà un’altra confessione di fede: sarà un pagano, un centurione romano, che vedendolo morire in quel modo sulla croce dirà: «Questi è davvero il Figlio di Dio». Gesù, dopo la sua morte, si manifesterà vivente alle donne, agli apostoli e poi ad altri discepoli affranti e delusi per la sua morte.

È in questo contesto che la tradizione trasmessa dagli apostoli fa porre a Gesù la domanda ai suoi discepoli: «La gente chi dice che io sia?». E poi a loro: «Voi chi dite che io sia?» E oggi a noi; tu Aeneid, tu Manuel, tu don Riccardo, tu “Chi dici che io sia? Chi sono io per te?”

I discepoli avevano iniziato a conoscere Gesù attraverso la sua predicazione e il suo operare prodigi e segni. Essi erano cresciuti in un popolo che nutriva aspettative messianiche, ma quel suo parlare in prima persona del Regno di Dio, del suo rapporto con il Dio altissimo, quel suo modo di presentarsi e di prendersi cura delle persone fino ad arrivare a dire «Ti sono perdonati i tuoi peccati», faceva loro intendere che Gesù era diverso dagli altri Rabbì, dagli altri profeti, da Elia, Giovanni Battista. Non era semplicemente un incaricato di Dio, uno mandato dal Signore: i discepoli – con Pietro in testa, nostro “rappresentante ufficiale” – intuiscono per un dono di grazia che l’identità di Gesù è altro. Non solo: il suo essere diverso ormai li sfidava a conoscere lui sempre più in profondità. E con lui, anche se stessi, la propria identità agli occhi del Dio altissimo. In buona sostanza, conoscere l’identità di Gesù stava diventando per loro una sfida per decidersi e mettersi in gioco, con tutto loro stessi, come lui, insieme a lui, per lui.

C’è un bel libretto degli esercizi spirituali che il cardinale Martini tenne parecchi anni fa ai giovani, intitolato «Conoscersi, decidersi, giocarsi». Fa vedere che la conoscenza di Gesù è conoscenza di se stessi. Ma non in un modo astratto, teorico, per curiosità, ma perché c’è un cambiamento reale che l’incontro con lui continuamente procura a noi stessi. E di fatto da quel momento, da quella domanda e da quella risposta di Pietro, i discepoli incominciano a distinguersi dalla folla.

I discepoli da quel momento in poi sono chiamati a dirigersi decisamente con Gesù verso Gerusalemme, dove parteciperanno con tutta la loro fragilità (che conosciamo bene) al Mistero pasquale di Gesù. Offriranno la loro vita, moriranno con Cristo e per Cristo, perché hanno veduto, hanno creduto che lui era risorto dalla morte, lui era il vivente. Da quel momento cominciano anche loro a testimoniare con la propria vita ciò che hanno sperimentato, visto, toccato, gustato, cioè il Verbo di Dio, il pane di vita eterna, la luce del mondo, il suo essere, il Buon pastore, l’Agnello di Dio che toglieva i peccati del mondo, il Servo di Dio che non era venuto per essere servito, ma per servire. In fondo, il Figlio di Dio, crocifisso e risorto.

Cari Manuel ed Aeneid, anche voi oggi in questa celebrazione ricevete con Pietro, gli apostoli e tutti noi la rivelazione di chi è Gesù, la rivelazione della sua identità. Non ha aspettato che foste perfetti, non ha aspettato che foste pienamente consapevoli della vostra identità agli occhi di Dio, o che foste pienamente consapevoli della vostra missione. Questa rivelazione è donata a voi e a noi e coglie voi e noi in cammino, pellegrini con Gesù. Pellegrini verso Gesù.

Lasciamoci trasformare da lui, dal suo amore, mentre annunziate Cristo, nostra salvezza e nostra speranza. Offrirete così il vostro umile servizio giorno dopo giorno alla Chiesa, questa Chiesa, che Gesù ha voluto come la roccia sulla quale fondare la nostra fede. Sarete in servizio ai vostri fratelli in cammino, come voi e come noi, verso Gesù Cristo, la nostra unica speranza.