Offro una riflessione, suggerita anche dalle letture della Paola di Dio, per introdurci alla celebrazione del rito di ammissione di Matteo e Francisco.
Come sappiamo, si tratta di un rito semplice ma con un profondo significato per chi lo riceve. Francisco e Matteo chiedono al Vescovo di essere pubblicamente accolti tra i candidati all’ordinazione diaconale e presbiterale, come hanno scritto nella domanda che hanno presentato.
Questa richiesta che esprimono davanti al Vescovo e alla comunità li porta a dare uno sguardo indietro e uno sguardo in avanti sulla loro giovane vita.
Lo sguardo indietro lo hanno già dato facendo una seria verifica personale e con gli educatori del cammino fatto specialmente negli ultimi tre anni. Tale verifica li ha confermati nella convinzione che nella loro storia si sono resi chiari i segni della chiamata di Gesù a seguirlo nel ministero sacerdotale. Questi segni si sono manifestati in tempi e modi differenti perché ognuno di loro ha una sua storia molto personale. Eppure sono qui tutti e due assieme a fare l’identica domanda al Vescovo perché, pur nella diversità delle vie percorse, i segni del Signore li hanno condotti allo stesso punto. Come gli apostoli che, pur chiamati dal Gesù in forme diverse, alla fine si sono trovati a condividere la medesima missione: essere “pescatori di uomini”.
La verifica personale è stata rafforzata dal confronto con gli educatori che hanno confermato che ci sono in loro le condizioni e la maturità sufficiente per proseguire nel cammino verso il sacerdozio.
Accanto allo sguardo indietro, il rito di ammissione spinge i candidati ad uno sguardo in avanti verso la grande meta a cui porta questa chiamata di Gesù: il ministero presbiterale.
Potere vedere che è un ministero prezioso come vi testimoniano tanti sacerdoti che frequentate da vicino. In loro riconoscete la gioia di portare Gesù oggi ai fratelli, con l’annuncio della sua Parola, con l’offerta della sua misericordia nel perdono dei peccati, nell’apertura alla comunione reale con lui nell’eucaristia.
Certo dobbiamo riconoscere anche che in questo nostro tempo è un ministero impegnativo, veramente missionario perché le persone a cui i sacerdoti offrono il loro generoso servizio reagiscono in modi molto diversi. Alcuni rispondono accogliendo le proposte e condividendo con i loro pastori la fede e un cammino spirituale; altri vanno per la loro strada con indifferenza; altri reagiscono in modo ostile contro la Chiesa e, di conseguenza, i suoi ministri.
Questo è il campo del Signore in cui si trovano a lavorare i sacerdoti, dove c’è terreno buono accanto a zizzania e a rovi. È un campo per missionari che non cedono allo scoraggiamento ma rafforzano la loro fiducia nella potenza dello Spirito Santo.
Possono avere come esempio il profeta Isaia che, guardandosi attorno, vede un popolo che aveva abbandonato il suo Signore e le grandi promesse di Dio sembravano fallite. Ma non perde la fiducia; anzi, annuncia: «In quel giorno un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». La sua fede gli dona occhi buoni per vedere che Dio potrà far germogliare dal tronco secco un nuovo e inatteso germoglio; anzi un germoglio straordinario: era il Messia, Gesù nato da Iesse e da Davide.
Questi occhi, pieni di fede e speranza sono chiesti anche a i sacerdoti ai sacerdoti (e già a voi) per scoprire l’opera dello Spirito Santo che fa spuntare ancora germogli inattesi anche quando il campo sembra arido.
Guardando in avanti, allora, Francisco e Matteo (e voi con loro), possono vedere che chiedono di essere ammessi a un ministero grande sia per il dono di Dio che offre ai fratelli, sia perché fa crescere, in chi lo esercita, occhi e cuore di missionario.