Care sorelle e fratelli,
nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, l’apostolo Paolo traccia un bilancio della sua esperienza di predicatore del Vangelo. È un bilancio ben poco gratificante sul piano umano: è stato tribolato, sconvolto, colpito, perseguitato. La missione che Gesù risorto gli aveva consegnato, quando lo aveva incontrato e fatto cadere da cavallo sulla via di Damasco, aveva portato Paolo in mezzo a tribolazioni e prove di ogni genere. Eppure il tono del suo discorso non fa trasparire sentimenti di sconfitta e di rassegnazione; anzi è un tono quasi trionfale, di vittoria. È stato tribolato ma mai si è sentito schiacciato; è stato sconvolto ma mai si è sentito disperato; è stato colpito in ogni modo ma mai ha avuto paura della morte. Pur nelle prove l’apostolo è sostenuto da una forza d’animo straordinaria che possiamo chiamare con un nome preciso: speranza! Come uomo egli si sente debole quanto un vaso di creta nel quale, però, il Signore Gesù ha infuso la sua potenza straordinaria che viene da Dio. È la potenza che Gesù ha mostrato al mondo quando, per primo, è stato tribolato e perseguitato fino alla croce e ha sconfitto il male e la morte, che si erano ciecamente accaniti su di lui, risorgendo il mattino di Pasqua. Paolo si sente custodito da Gesù mentre predica il Vangelo ed ha la certa speranza che, se dovrà morire per il Vangelo, Gesù non lo abbandonerà nella morte ma lo risusciterà e lo terrà accanto a lui nella vita eterna. Questa è la fede e la speranza che sosteneva Paolo e lo rendeva vincitore contro ogni persecuzione e prova.
Questa stessa speranza, generata dalla fede in Gesù, ha animato i nostri Patroni, il vescovo Ermacora e il suo diacono Fortunato. Il loro martirio attesta che anche per loro essere cristiani e annunciare il Vangelo comportò prove e rifiuti fino ad essere soppressi con violenza. Provarono sulla loro carne quell’odio cieco che il mondo, dominato dallo spirito del male, ebbe contro Gesù e continua ad avere contri i suoi discepoli. Nonostante questo, Ermacora e Fortunato non rinnegarono la fede in Gesù Cristo e non si nascosero ma continuarono a parlare di Gesù e animare la piccola comunità cristiana nata nella grande Aquileia. Il segreto di questo umile coraggio era la speranza che, anche se venivano esposti alla morte a causa di Gesù, Gesù stesso li custodiva nel suo amore e mai avrebbe abbandonato alla morte la vita dei suoi fedeli.
Con i nostri Patroni e gli altri primi cristiani era penetrata in Aquileia la fiammella della speranza cristiana. Nonostante fosse piccola, faceva paura al potere dominante di allora il quale cercò subito di spegnerla con le persecuzioni. Ma la luce della speranza cristiana era più forte e si diffondeva per contagio da persona a persona, come ricorda Papa Francesco nell’enciclica ‘Lumen fidei’ che da pochi giorni ci ha donato. Nei secoli illuminò il continente europeo e forgiò la nostra civiltà.
Ora la fiamma della speranza, che si alimenta alla fede in Gesù, è consegnata a noi cristiani perché la teniamo viva e la diffondiamo ancora da cuore a cuore.
Oggi c’è una grande sete di speranza, per tanti motivi su cui non mi soffermo. La vediamo nell’eco che hanno le parole e i gesti di Papa Francesco.
Osservando la situazione, ho deciso di proporre a tutta la Chiesa di Udine di vivere, dopo l’Anno della fede che si concluderà con la festa di Cristo Re, un Anno della speranza. Accompagnerò questo Anno della speranza con una lettera pastorale dedicata a questa grande virtù cristiana e, prima, umana.
Per i cristiani, che vogliono vivere con coerenza la loro fede, non mancano neppure oggi le prove e le difficoltà e non mancano a tutta la Chiesa. Questo non deve essere un motivo per rassegnarsi e tenere la propria fede nascosta ma, piuttosto, stimolo per ravvivare nella nostra coscienza la fiamma della fede e della speranza; e per mostrare attorno a noi la speranza che Gesù ha portato.
La speranza si mostra con segni concreti. Tanti cristiani di Udine li stanno già vivendo e prego lo Spirito del Signore perché siano ancora più coerenti e coraggiosi.
Ricordo alcuni segni di speranza presenti tra noi.
Sono segni di speranza un ragazzo e una ragazza che liberamente scelgono di donarsi reciprocamente l’amore e la vita per sempre nel sacramento del matrimonio confidando, prima che sulle loro forze, sull’amore di Cristo che li custodirà.
Sono segni di speranza le coppie che si aprono alla vita offrendo il cuore e il corpo al miracolo della generazione di un figlio in questa terra diventata così avara di figli.
Sono segni di speranza i genitori che continuano a donare il meglio di se stessi nell’educazione dei figli senza abbattersi e rassegnarsi di fronte alle gravi fatiche che sta vivendo la nostra società nel campo dell’educazione. Con loro sono segni di speranza tutti gli insegnanti e gli educatori che per amore dei bambini e dei giovani si dedicano a loro per contagiare il loro giovane cuore con la fiamma della speranza che il Vangelo ha portato. La nostra Chiesa diocesana ha posto al primo posto l’impegno per l’educazione e continuerà questo compito materno verso i suoi figli.
Sono segni di speranza gli imprenditori e dirigenti che, spesso contro vento, si impegnano per assicurare posti di lavori specialmente ai giovani.
Sono segni di speranza quanti, con fedeltà e rimettendoci di persona come il buon samaritano, continuano a dedicarsi ad iniziative di solidarietà in questo momento in cui la crisi economica morde duramente la speranza e la dignità di tante sorelle e fratelli. Anche sul campo del sostegno fraterno e della solidarietà la diocesi moltiplicherà i suoi sforzi ìn collaborazione con le diverse istituzioni nelle quali troviamo sempre tanta disponibilità.
Per i cristiani è tempo di opporsi alla cultura di morte con la forza della speranza che nasce dalla certezza che la nostra vita è custodita da Gesù risorto. Per questo possiamo donarla senza calcoli e senza paure fino all’ultimo giorno nella sicura speranza che ci attende la vita eterna.