Abbiamo ascoltato nella seconda lettura della Parola di Dio il grande capitolo 13 della prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi. E’ giustamente chiamato ‘inno alla carità’ perché è attraversato da un ritmo trionfale, da un crescendo continuo che sfocia nella dichiarazione finale che ci apre all’eternità: ‘Rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità’.
Paolo inizia il suo inno dicendo: ‘vi mostro la via più sublime’ sulla quale camminare tutta la vita: è la via della carità. L’ha aperta Gesù perché, a causa dei loro peccati gli uomini l’avevano smarrita. Gesù, per primo, ha camminato tutta la vita lungo la via della carità, come ci ricorda S. Giovanni iniziando il racconto dell’ultima cena: ‘Avendo amati i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla misura suprema’. Ha chiamato, poi, i suoi discepoli a seguirlo lungo questa stessa via: ‘Vi lascio un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato’.
Solo chi cammina sulla via della carità capisce il segreto della vita, di ogni vita umana; capisce perché va rispettata sempre e comunque al di là di ogni interesse; scopre la dignità di ogni persona della quale mai è lecito approfittare, anche se è in stato di estrema debolezza e di apparente inutilità.
Quando si abbandona la via della carità non si capisce più anche se si crede di capire. Ascoltiamo tanti discorsi sull’embrione, sul diritto all’aborto, sui modi per generare un figlio, sulla condizione delle persone gravemente disabili o anziane. Spesso sembrano discorsi molto logici e scientifici che, però, concludono affermando il diritto alla soppressione di una vita umana, a selezionare un figlio che nasce, a decidere sull’esistenza di una persona debole.
Sembrano ragionamenti molto chiari e logici ma, di fatto, non capiscono più il mistero della vita e della persona umana perché vengono da menti e da cuori che hanno perso la via della carità.
Fece molta impressione il discorso di Madre Teresa di Calcutta quando fu invitata all’ONU. I membri di quella importante assemblea mondiale si aspettavano da lei parole conto le ingiustizie sociali e a difesa dei poveri e degli emarginati per i quali quella santa suora stava spendendo la vita. A sorpresa, ella parlò della tragedia dell’aborto lanciando alle donne un accorato appello: se non volete il figlio portatelo a me. Fu una sorpresa per chi non capiva più che il rispetto della persona umana comincia dal rispetto iniziale della sua vita, da quando un uomo e una donna generano una nuova creatura che ha comunque il diritto di vivere.
Madre Teresa capiva bene questo perché seguiva Gesù camminando sulla via che lui ha tracciato: la via sublime della carità; perché passava ore e ore in preghiera e adorazione eucaristica per imparare dal Sacro Cuore di Gesù come si ama il proprio fratello.
In questa giornata della vita, le parole di S. Paolo e l’esempio di Madre Teresa ci ricordano la condizione prima per essere veri difensori della vita e della dignità di ogni persona umana: stare dietro a Gesù lungo quella via della carità che lui ha aperto in mezzo agli uomini.
E qui penso, in particolare ai tanti sposi e genitori cristiani della nostra Chiesa diocesana. Per vocazione Gesù li ha chiamati a vivere di amore reciproco e quotidiano e a generare figli come frutto del loro amore. Sono questi sposi e genitori che, grazie all’amore vissuto, capiscono e ci aiutano a capire che il piccolo essere che inizia a formarsi nel grembo della mamma è già un figlio che va comunque accolto e che ha grande dignità anche qualora non si presentasse perfetto rispetto ad alcuni criteri solo utilitaristici.
Alla voce di questi sposi e genitori dobbiamo dare più spazio perché è troppo mortificata nei pubblici dibattiti. E nella Chiesa dobbiamo aiutarli con la preghiera e con ogni sostegno perché non è facile la loro missione; ma è importantissima per il futuro del nostro Friuli. Perché resta vero che solo chi cammina lungo la via sublime della carità capisce il mistero della vita umana e sa difenderla.