Omelia in occasione della terza Domenica di Pasqua (26 aprile 2020)

26-04-2020

Cari Fratelli e Sorelle, 

è offerto alla nostra meditazione in questa terza domenica di Pasqua il racconto dell’apparizione di Gesù risorto a due discepoli in cammino da Gerusalemme ad Emmaus.

Il primo particolare che l’evangelista Luca sottolinea è lo stato d’animo di quei due uomini. Erano presi da una profonda tristezza che si poteva leggere anche nei volti. L’argomento della loro conversazione ci rivela l’origine di tanta tristezza: nel loro cuore si era creato un vuoto incolmabile lasciato dalla morte di Gesù. La tomba del loro Maestro, nel quale avevano creduto, era diventata anche la tomba della loro speranza, del senso della loro vita. Colui che era stato ucciso sulla croce non  era solo un loro amico fraterno o un maestro a cui si erano tanti affezionati. Era stato ucciso il loro Signore nel quale avevano creduto con tutta la mente e tutto il cuore. Si sentivano abbandonati dentro un vuoto e una solitudine dell’anima che niente poteva riempire.

Soffermo la nostra attenzione su questa tristezza generata dal vuoto e dalla solitudine lasciati in quei due discepoli dal Signore morto e sepolto. Anche la nostra epoca, che chiamiamo “moderna”, conosce questo sentimento amaro perché esso serpeggia nel più intimo del cuore di tante persone. Lo ha descritto con espressioni quasi disperate il filosofo Nietzsche quando, nella opera «La gaia scienza», fa gridare ad un pazzo, tra le bancarelle del mercato, che Dio ormai era morto perché l’uomo era riuscito ad ucciderlo. Cito solo qualche frase: «Ma come abbiamo potuto fare ciò? Chi ci diede la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto quando staccammo la terra dalla catena del suo Sole? In quale direzione ora ci muoviamo? Non precipitiamo noi continuamente? Indietro, da un lato, davanti, da tutte le parti? C’è ancora un alto e un basso? Non voliamo come attraverso un nulla senza fine? Non soffia su di noi lo spazio vuoto?… Dio è morto, Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!».

Il vuoto lasciato da Dio crea un senso di solitudine incolmabile anche se si è cercato di riempirlo con l’illusione che l’uomo possa sentirsi autosufficiente grazie ai miti della scienza, della tecnica, del consumismo insaziabile. Resta nel più profondo del cuore una vena di amara tristezza che in certe persone, specialmente giovani, è diventata un “mal di vivere” che conduce anche al gesto estremo di porre fine anzitempo alla propria vita perché, appunto, è diventata un male insopportabile. 

Colgo dalle confidenze di diverse persone che i gravi disagi a cui ci sta sottoponendo il coronavirus frantumano le nostre illusorie sicurezze e ci riportano a contatto con quel senso di vuoto triste in cui si erano trovati come affogati i due discepoli che andavano, la sera di Pasqua, da Gerusalemme ad Emmaus. È un vuoto che ha bisogno di trovare speranza e senso per la nostra vita. Ma chi possiamo invocare  se, come esclama «Dio è morto! E noi lo abbiamo ucciso»?

Ai due discepoli si accosta uno sconosciuto che a loro doveva essere tutt’altro che sconosciuto. Ma i loro occhi erano diventati come ciechi perché avevano perso la luce della fede. 

È lo sconosciuto, allora, che si impegna a rivelarsi. Dapprima fa sentire la sua parola che risveglia già un calore di speranza nei cuori dei due discepoli avvolti dalla tristezza. Poi si siede a tavola con loro e ripete gli stessi gesti e le stesse parole dell’Ultima Cena; celebra con loro l’eucaristia. Allora riconoscono che il loro Signore non era rimasto nella tomba ma era risorto ed era tornato in mezzo a loro. Offriva loro una comunione con lui invincibile perché donava loro un cibo di vita eterna: il suo Corpo  e il suo Sangue. Lo avevano pregato: «Resta con noi perché si fa sera» ed erano stati esauditi. La loro sera non andava più verso la notte ma si illuminava della luce di una speranza nuova.

Purtroppo troppi cristiani, in questi mesi, sono stati costretti ad un prolungato digiuno. Molti mi danno testimonianza di sentire il bisogno spirituale di vivere la comunione col Corpo e Sangue del Signore nell’eucaristia. Questi sono credenti che hanno capito l’importanza decisiva dell’eucaristia nella quale Gesù si fa nostro cibo che ci accompagna fino alla vita eterna. Preghiamo perché al più presto sia possibile tornare ad avere questo dono che in certi episodi abbiamo visto poco capito e poco rispettato. E invochiamo: «Resta con noi, Signore, e non si farà più sera».