Cari Fratelli e Sorelle,
in questa festa di Tutti i Santi, mi fermo a meditare con voi le parole del libro dell’Apocalisse che abbiamo appena ascoltato: «Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, formata da uomini e donne di ogni nazione, popolo e lingua. Essi portavano sulla fronte il sigillo dei servi del Dio vivente. Erano avvolti in vesti candide e tenevano in mano una palma, segno del martirio che avevano subito».
Per una particolare rivelazione di Dio, San Giovanni vede oltre la morte, barriera invalicabile per il nostro sguardo e per la nostra mente. Oltre questo mondo, che abbandoneremo al momento della morte, egli vede un mondo nuovo abitato da una comunità innumerevole di persone che portano sulla fronte il tau, segno della croce, e che cantano con gioia rivolti verso il trono di Dio e verso Gesù, l’Agnello che si è immolato per tutti gli uomini.
I più vicini all’Agnello sono martiri perché anche in questa vita terrena essi sono stati i più vicini a Gesù, rimanendo fedeli a lui anche quando hanno dovuto passare attraverso una grande tribolazione. Tra pochi giorni sarò a Scutari per partecipare al solenne rito di beatificazione di 38 martiri albanesi, uccisi barbaramente nelle carceri del regime comunista di Hoxha. Tra loro anche l’Arcivescovo di Scutari, Vinçenc Prennushi. Un libro, recentemente pubblicato dall’editrice La Scuola, racconta le atroci torture a cui furono sottoposti quei martiri. Esse furono talmente barbare e assurde che solo l’odio di Satana contro Dio e contro i suoi servi poté suggerirle a menti umane.
Perché delle deboli persone – a volte giovani donne indifese – incutevano tanta preoccupazione al dittatore, ai suoi sicari e al regime comunista? Perché, come San Giovanni, essi erano sostenuti da una speranza che vedeva oltre la morte. Non avevano altro padrone che il loro Signore Gesù e lo seguirono anche se, come lui, dovettero passare attraverso lo strazio di una grande tribolazione. Mentre spargevano il sangue sulla terra tribolata del loro amato paese, essi vedevano, nella fede, la patria nuova dove li attendeva l’Agnello immolato che li voleva in prima fila a cantare la gioia che prova chi ha vinto ogni paura con la forza soprannaturale dell’amore, fino al perdono dei carnefici.
I loro corpi straziati sono diventati, ora, reliquie degne di venerazioni perché sono stati santificati dall’amore che hanno vissuto anche con il loro corpo, come Gesù in croce. E come Gesù è risorto da morte con le ferite della sua passione, anche i suoi martiri risorgeranno alla vita nuova ed eterna con i loro corpi resi preziosi dai segni delle torture mortali.
Questa è la speranza che ha sostenuto, con una forza umanamente impensabile, i martiri albanesi mentre attraversavano la grande tribolazione. La fede cristiana che avevano ricevuto faceva intravvedere loro la luce oltre le oscure pareti delle camere di tortura e la violenza incontenibile dei loro aguzzini. Avevano incise nel cuore le parole dell’apostolo Giovanni della seconda lettura: «Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui». Sperando contro ogni umana speranza, essi sapevano che erano attesi dall’innumerevole comunità dei martiri che la Chiesa ha avuto lungo i secoli della sua storia. Lì c’era anche il loro posto per cantare la vittoria dell’amore sulla morte attorno al trono di Dio e dell’Agnello, Gesù loro Signore.
A noi hanno lasciato una fortissima testimonianza; martiri significa per l’appunto “testimoni”. Essi ci hanno mostrato quanto la speranza in Gesù risorto e nella vita eterna, da lui inaugurata, dia al cristiano la forza di non rinunciare mai alla dignità delle proprie convinzioni di fede anche quando altri gli calpestano il corpo per piegare la sua anima. Hanno tenuto acceso la luce dell’amore di Cristo in mezzo a quella gelida notte della ragione e del cuore, qual è stato il regime comunista in Albania e in altri paesi. Sono morti confessando la libertà della loro fede e amore puro per la madre Chiesa e per il loro paese, fino a perdonare i loro carnefici.
Alla testimonianza dei martiri albanesi, si è aggiunta quella di tanti altri cristiani dei paesi dell’Est europeo. Ce la narrano anche fratelli e sorelle immigrati che ora vivono tra noi. E anche oggi in varie parti del mondo la madre Chiesa continua ad avere figlie e figlie che, con indifeso coraggio, pagano col martirio la libertà di credere al loro Signore e di rispondere all’odio con l’amore che Gesù ha messo nel loro cuore.
Il loro forte esempio ci risvegli l’anima e ci faccia rendere conto che il nostro sguardo sulla vita, forse, è diventato come miope. A volte non riusciamo più a vedere oltre il limite della morte e ci rassegniamo a pensare che lì finisca tutto. I nostri martiri e i cari defunti per i quali preghiamo oggi e domani, ci ricordano che loro non sono svaniti nel nulla ma sono nella comunione dei Santi attorno al nostro Dio e a Gesù, Agnello immolato e vincitore del male e della morte. Lì c’è anche il nostro posto per raggiungere il quale val la pena di donare tutta la vita come hanno fatto i tutti i santi.
Cattedrale di Udine, 1° novembre 2016