Cari fratelli e sorelle,
vorrei innanzitutto esprimere esplicitamente la mia gratitudine a Dio perché, celebrando insieme questa Eucaristia, riviviamo oggi almeno tre grandi misteri.
Il primo è il mistero del nostro essere stati chiamati, grazie al Battesimo, a essere parte di un popolo che ha una dignità sacerdotale, regale e profetica, condividendo con tutti voi, carissimi religiosi, consacrati e laici, quell’unica grazia che ci viene dal Battesimo. Quindi grazie della vostra presenza qui oggi insieme a noi.
In secondo luogo, viviamo il mistero (che molti di noi hanno ricevuto) della vocazione a una speciale forma di consacrazione nel Sacramento dell’Ordine. Abbiamo risposto con generosità a questa vocazione, perseverando in essa, con l’aiuto della grazia, per un diverso numero di anni: dai più giovani, compresi coloro che sono stati ordinati sacerdoti da pochi mesi, a quelli ordinati 65 anni fa. Grazie! Grazie di aver risposto con fedeltà e perseveranza a questa vocazione, grazie di aver collaborato con la grazia di Dio.
E poi il mistero di appartenere a questa porzione di Chiesa che è l’Arcidiocesi di Udine. Non vi nascondo che poco più di un anno fa avevo colto con sorpresa e meraviglia il fatto di essere stato chiamato ad appartenere a questa Chiesa di Udine. Ma oggi, dopo circa un anno, sono sempre più consapevolmente grato al Signore perché mi ha innestato in questa vite così bella, così rigogliosa, che ha radici così antiche e che ha portato tanti frutti in molti modi: nelle famiglie, nei sacerdoti, vescovi, missionari, consacrati, consacrate.
Per grazia provvidenziale di Dio, sono stato reso partecipe di quella stessa linfa vitale che da secoli anima questa Chiesa. E proprio appartenendo a questa Chiesa anch’io, insieme con voi, sono chiamato a portare dei frutti.
Ho provato a immaginare che cosa sperimentasse Gesù quel sabato quando, come al solito, si è recato nella Sinagoga di Nazareth per il culto. Gli fu dato, sempre per Provvidenza, quel rotolo del libro del profeta Isaia. Non l’ha scelto lui. Ho provato a immaginare che quelli di Gesù fossero gli stessi sentimenti che sperimentiamo anche noi oggi: lui quel giorno, sotto la guida dello Spirito Santo, ha esclamato «Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi».
Quell’“oggi”, attraversando i secoli, si è dilatato per coinvolgere anche noi [sacerdoti], qui e ora. La grazia del Sacramento dell’Ordine ci ha legati indissolubilmente e ci lega a Gesù di Nazareth, morto e risorto per noi. Ci lega indissolubilmente alla Chiesa che ha le sue radici nel popolo della Prima Alleanza.
In Lui noi anche abbiamo ricevuto la stessa chiamata ad «Annunziare ai poveri un lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri la liberazione, a ridare la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi, a predicare un anno di grazia del Signore» (Is 61,1). Ma perché questa chiamata abbia una risposta efficace è necessario che ciascuno di noi, e tutti insieme come un unico presbiterio, siamo consapevoli che è Lui che prega, è Lui che ascolta, è Lui che parla, è Lui che illumina, è Lui che offre se stesso al Padre. E questo lo vuole fare in noi, con noi e per noi nella liturgia e nella vita vissuta.
Oggi e ogni giorno della nostra vita noi non facciamo altro che rendere disponibili le nostre orecchie, le nostre labbra, il nostro cuore, le nostre mani, i nostri gesti a Lui. Ma è Lui, è solo Lui che ascolta, parla, tocca, si prende cura dell’umanità donandole anche attraverso di noi ascolto, comprensione, consolazione, riconciliazione, salvezza, ma soprattutto speranza di vita eterna. Non possiamo misurare il valore delle nostre celebrazioni o del nostro apostolato con il parametro del nostro stato d’animo, così spesso mutevole, variabile, ma neppure con l’indice del consenso e del gradimento che possono avere le nostre omelie o i nostri servizi, che comunque dobbiamo sempre curare; attraverso le nostre omelie facciamo gustare la Parola di Dio che è stata proclamata, attraverso i nostri servizi facciamo sentire la presenza viva del Signore Gesù risorto nelle nostre comunità.
Noi siamo chiamati a vivere sempre più intensamente e consapevolmente uniti a Gesù e al Suo corpo vivente che è la Chiesa. Ogni celebrazione eucaristica, ogni liturgia delle ore, ogni ascolto personale e comunitario della Parola di Dio, ogni istante della nostra vita per essere umilmente strumenti di quella grazia, di quel Vangelo che vuole toccare la vita di ogni uomo e di ogni donna che ci è stato affidato.
I momenti di stanchezza non sono mai mancati e non mancheranno presumibilmente mai. I momenti di aridità non sono stati pochi e non mancheranno ancora. Proprio in quei momenti affidiamoci con fiducia al Signore risorto. Quel Dio che ha suscitato in noi il volere e l’operare secondo i Suoi benevoli e provvidenziali disegni porterà certamente a termine quell’opera che ha iniziato anche in noi.
Viviamo con questa speranza, soprattutto in questo anno di grazia che è il Giubileo.