Cari Fratelli e Sorelle,
propongo un breve commento al racconto, che abbiamo ascoltato dal vangelo di san Giovanni, dello straordinario miracolo di Gesù che risuscita un amico, Lazzaro, il quale giaceva ormai da quattro giorni nel sepolcro.
Lo scopo che l’evangelista Giovanni vuol raggiungere non è quello di suscitare la nostra meraviglia ma, piuttosto, di farci capire che Gesù compì quel miracolo perché voleva offrire un segno a chi stava con lui. Richiamare alla vita una persona che giaceva da quattro giorni nella tomba era un intervento che rivelava in Lui una potenza umanamente impensabile. Gesù, però, voleva che la gente capisse che aveva risvegliato dalla morte l’amico Lazzaro, per dare un segnale forte che annunciava un miracolo assolutamente più grande che egli avrebbe presto compiuto. Non molti giorni dopo a Gerusalemme ci sarebbe stato un altro sepolcro che avrebbe custodito Gesù stesso col corpo straziato dalle torture e dalla crocifissione e col cuore squarciato da un colpo di lancia. Dopo tre giorni, il mattino di Pasqua, quel sepolcro si sarebbe spalancato e Gesù sarebbe uscito risorto. Sarebbe apparso ai suoi discepoli con il suo corpo che portava tutte le ferite che la cieca cattiveria degli uomini gli aveva inferto fino a vederlo spirare. Allora i discepoli avrebbero capito che quelle ferite erano diventate gloriose; erano i segni che l’amore di Gesù aveva sconfitto ogni male e la morte. Aveva aperto una vita nuova, una vita eterna, senza più lutti, lacrime e morte.
A Marta, sorella di Lazzaro, Gesù fece questa promessa: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà, chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno».
Dopo aver pronunciato queste parole andò al sepolcro dell’amico per strapparlo alla morte e poter riabbracciarlo e non perderlo più. Lazzaro, dopo qualche anno, sarebbe tornato nella tomba e i suoi cari lo avrebbero perso per la seconda volta. Ma non lo avrebbe abbandonato Gesù che era risorto. Egli portò Lazzaro con sé nella vita eterna nella quale raccoglie, come buon pastore, tutti coloro che muoiono credendo in lui.
Noi crediamo e speriamo che, assieme a Lazzaro, Gesù abbia accolto nel suo abbraccio di amore potente più di ogni male anche tutti i nostri parenti e amici che la morte ci ha strappato. Anche quelli sui quali ha avuto ragione il virus maligno che ci sta infestando. Se ne sono andati spesso senza un ultimo abbraccio dei loro cari; assistiti, magari, dallo sguardo di compassione e da una preghiera di un medico o di un’infermiera che sono stati loro vicini. E ci toccano il cuore e ci lasciano un senso di amara impotenza le immagini delle bare anonime che giungono con i camion militari per la cremazione.
Ma non è quello l’ultimo, triste destino di quei nostri fratelli e sorelle. Sono attesi dallo stesso abbraccio di misericordia con cui Gesù strappò Lazzaro dalla terribile potenza della morte per portarlo con sé nella vita eterna che ha iniziato risorgendo dai morti il mattino di Pasqua. Magari con cuore titubante noi crediamo che Gesù è più potente del coronavirus e abbraccia anche i nostri cari accogliendoli nella sua vita di risurrezione con Maria, San Giuseppe e la comunità di tutti i santi.
San Giovanni sottolinea che Gesù amava Lazzaro con le sue sorelle, Marta e Maria. Quando arrivò davanti alla sua tomba scoppiò a piangere sorprendendo i presenti che commentarono: «Guarda come lo amava!».
Gesù amava Lazzaro come un amico e sopportò che fosse rovinato del tutto dal male e dalla morte. Lo portò nella sua vita eterna di risorto dove l’amore di Dio è più forte della morte. Con lo stesso amore conosce e ama ognuno di noi ed ogni uomo. Questa è la speranza che ci ha aperto spalancando il suo sepolcro il mattino di Pasqua.
A noi chiede solo di non chiudere la porta del cuore al suo amore; di affidarci a lui in vita e in morte. Ci chiede di affidare a lui anche i nostri morti, uno per uno, nome per nome, con la preghiera di suffragio che è come l’ultima carezza di amore che offriamo a loro.
Udine, 29 marzo 2020