Omelia in occasione della «Giornata per la vita consacrata» (2 febbraio 2019)

02-02-2019

Cari Fratelli e Sorelle consacrati,

credo che questa celebrazione nella festa della Presentazione di Gesù al tempio, «Giornata mondiale della Vita consacrata», sia vissuta da tutti noi, consacrati e consacrate, con una profonda gioia spirituale; gioia alla quale partecipano anche i fedeli laici che si uniscono alla nostra preghiera.

Questa gioia scaturisce dal sentirci in profonda comunione tra noi grazie ad un dono dello Spirito Santo che che ci accomuna tutti: il dono della consacrazione totale a Gesù Cristo dentro la Chiesa.

Abbiamo delle belle diversità che ci distinguono per i differenti carismi maschili e femminili a cui abbiamo aderito, abbracciando una forma di vita consacrata piuttosto che un’altra. In questa S. Messa, però, condividiamo la gioia di riconoscere che nel profondo del cuore di tutti noi Dio, per opera del suo Spirito, ha posto il tesoro della consacrazione a Lui per la santificazione nostra e per il bene della Chiesa.

Per questo segno immeritato di predilezione del Signore per la nostra povera persona rinnoviamo, uniti a Maria, il nostro Magnificat e riconfermiamo la volontà di continuare ad impegnarci perché il dono ricevuto porti frutti di carità sempre più profumati.

Il racconto evangelico della Presentazione di Gesù al tempio, da parte di Maria e Giuseppe, ci presenta due sorprendenti personaggi, Simeone ed Anna sui quali desidero tornar a portare la nostra attenzione. Lo avevo fatto già alcuni anni fa.

Questi due anziani credenti erano realmente dei consacrati a Dio. La loro casa era il tempio e occupavano il loro tempo nella preghiera e nell’attesa del giorno in cui il Dio fedele avrebbe compiuto la sua promessa di salvezza. Nella loro vita non aveva avuto avvenimenti e ruoli appariscenti. Erano invecchiati nel nascondimento della preghiera dentro il tempio,  cuore della vita religiosa del popolo ebreo.

Essi facevano parte di quel minoranza di giusti – prima tra tutti Maria – che, nel popolo ebreo che si era disorientato in mezzo agli idoli di altri popoli, avevano mantenuto la rotta giusta. Grazie ad una assidua preghiera, tenevano viva nel cuore la fede e  la speranza nelle promesse fatte da Dio ad Abramo e a Davide. E così,  quando il Salvatore entrò nel tempo, bambino tra le braccia della madre,  trovò chi lo attendeva, come sentinella fedele, a nome di tutto il popolo che aveva, invece, ceduto all’infedeltà.

Simeone ed Anna seppero attendere il giorno in cui Dio avrebbe compiuto la sua promessa senza avere segni che indicavano loro quando questo sarebbe avvenuto; senza garanzie e sicurezze umane. La loro certezza veniva solo dalla fiducia totale nella fedeltà onnipotente di Dio. sostenuti da una instancabile preghiera.

Giorni fa un vescovo di un paese dell’Europa dell’est mi raccontava che suo zio, a sua volta vescovo, mentre erano sotto il regime comunista gli ripeteva spesso: “verrà il giorno voluto da Dio”. E gli confidava che aveva maturato questa forte speranza mentre era in carcere e ogni speranza umanamente ragionevole era stata spenta. Lì, nella fedeltà della preghiera, lo Spirito Santo che lo aveva rafforzato nella sicura speranza che Dio aveva il suo giorno anche se lui non poteva prevederlo.

Questo vescovo era come Simeone e Anna: attendevano il giorno della salvezza di Dio senza pretendere di avere segni che assicuravano il momento della sua venuta, con una speranza forte nutrita di preghiera.

Cari Fratelli e Sorelle, anche la Chiesa di questo nostro tempo ha bisogno di avere dentro di sé consacrati come Simeone e Anna e come quel vescovo. Essa sta vivendo attacchi dall’esterno e, ancor più dolorosi, disorientamenti all’interno. Mostra fatiche e debolezze, anche gravi, di fronte alle quali non poche persone sono prese dall’amarezza, dalla rassegnazione, dalla tentazione di lasciare o, almeno, prendere le distanze da questa Chiesa.

In questo tempo, i consacrati sono chiamati ad essere ancor più “consacrati”; essere, cioè, coloro che non hanno altro senso e scopo nella loro vita che il Signore Gesù perché a lui hanno dato tutto. Non possono cedere alla tristezza o alla rassegnazione perché significherebbe aver buttato via la vita.

In mezzo a tanti fratelli disorientati, noi consacrati siamo chiamati ad essere sentinelle che con speranza sicura aspettano, come diceva quel vescovo, “il giorno del Signore” il quale non abbandona la sua Sposa, la Chiesa, anche se nel momento della burrasca sembra a volte dileguato. Da sempre questa è la missione dei consacrati nella Chiesa e lo è in modo particolare in questi tempi.

Ma per essere forti nell’attesa e nella speranza è necessario essere perseveranti nella preghiera. La preghiera non mette in mostra come magari possono fare opere più pratiche, pur buone. Come per Simeone e Anna, la preghiera tiene come nell’ombra e può sembrare poco efficace. Invece tiene aperto il cuore nostro e il cuore della Chiesa  al Signore per riconoscerlo quando viene come lui ha stabilito.

Non stanchiamoci di pregare per essere nella Chiesa sentinelle di speranza.

Cattedrale di Udine, 2 febbraio 2019