Signori Amministratori e Politici
vi ringrazio sentitamente di aver accolto anche quest’anno l’invito ad incontrarci in prossimità del Santo Natale per scambiarci gli auguri e condividere un momento di spiritualità e di riflessione.
L’interesse che molti mi hanno manifestato per l’analoga esperienza vissuta lo scorso anno mi ha dato l’ardire di rinnovare l’invito, spinto unicamente dal desiderio di assicurare il mio sostegno di Vescovo e Pastore a coloro che, in questo momento, stanno portando la responsabilità di amministrare e governare il bene comune dei propri fratelli.
Non possiamo negare che viviamo un tempo in cui questa responsabilità pesa perché ognuno di noi raccoglie quotidianamente le richieste accorate di persone, famiglie, aziende che temono di non farcela più e invocano aiuto.
Ci sentiamo dentro un travaglio sociale di grandi dimensioni e che non dà segni sicuri di andare verso il parto di una stagione più serena e promettente.
Tra le persone e le famiglie che si sentono meno tutelate perché vedono vacillare le garanzie sociali che abbiamo, anche faticosamente, guadagnato è facile che si diffonda la tentazione di lasciarsi andare al disorientamento, alla rassegnazione, alla protesta qualunquista specialmente.
Questo modo di reagire non è permesso a coloro che hanno ricevuto il compito di dare risposte alle attese delle persone e della comunità e di prendere decisioni sagge che offrano speranza concreta. Essi devono restare dentro il travaglio con atteggiamento attivo, senza mollare il timone e cercando di interpretare i segni del tempo per intuire e seguire le prospettive più indovinate e durature.
Vivere in questo modo l’esercizio del governo porta ad una profonda purificazione di cui, credo, tutti noi ne stiamo facendo personalmente esperienza. Sentendo che su tanti concittadini pesano e peseranno le nostre scelte, ci troviamo a confrontarci con impegnativi interrogativi: come possiamo capire a fondo il travaglio in cui siamo entrati? Su quali capisaldi dobbiamo puntare per guidarne il superamento? Di quali risorse possiamo far tesoro?
Queste sono domande purificatrici e, quindi, provvidenziali perché ci spingono ad un esame di coscienza estremamente onesto alla ricerca di ciò che è veramente essenziale per esercitare oggi una responsabilità amministrativa. La gente aspetta che i propri amministratori diano segnali di questa onestà di fondo, pur all’interno delle regole intrinseche alla dialettica politica e alla costruzione del consenso.
Mi permetto di suggerire alla nostra riflessione tre capisaldi che, per quanto colgo, le persone attendono di veder presenti nella vita e nei discorsi dei loro amministratori in questo tempo di crisi e di purificazione. Quando li ritrovano, si riaccende la fiducia e la speranza nel futuro che attende di essere costruito anche da noi.
1. Coscienze affidabili e formate
C’è un diffuso sospetto che l’attività politica e amministrativa camuffi normalmente altri giochi e interessi privati personali o di gruppi. Purtroppo, non mancano esempi che confermano con i fatti tale sospetto.
L’azione politica e di governo mira, per definizione, a raggiungere il bene possibile, attraverso una continua mediazione tra diverse esigenze ed interessi. Esercitare il giusto compromesso possibile senza scendere a compromessi con la propria coscienza, chiede una formazione morale di non comune robustezza. Ne era cosciente Paolo VI quando nella Lettera Apostolica ‘Octagesima adveniens’ ha dato la famosa definizione: ‘La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri’ (n. 46).
Certamente è un impegno molto esigente per un amministratore della cosa pubblica conciliare una retta coscienza con un’efficace azione politica e di governo; ma vogliamo affermare che non è impossibile.
In questo momento, la popolazione ha bisogno di fidarsi dei suoi amministratori. Non pretendono da loro miracoli ma una retta coscienza.
Sorge qui una domanda tutt’altro che scontata: come avere una retta coscienza? La risposta chiederebbe una riflessione articolata. Sottolineo, solo, che agire secondo coscienza non significa seguire spontaneisticamente ciò che a me sembra bene o male. E’ frutto, piuttosto, di un dialogo interiore tra la mia intelligenza e ciò che è veramente il bene e il male e che non posso inventarmi io ma mi viene rivelato. Un buon politico e amministratore non può decidere lui in che cosa consista il bene delle persone a cui è a servizio. Questo bene lo rivela Colui che ha pensato e creato, con infinito amore, la persona umana. Nella nostra tradizione cristiana, abbiamo la grazia di conoscere Gesù che il Figlio di Dio che si è fatto uomo e, quindi, è l’Uomo perfetto. Lui ci ha rivelato il valore di ogni persona umana e le condizioni per difendere la sua dignità, con una profondità che le religioni e le culture precedenti non avevano raggiunto.
Da questi, anche troppo sintetici accenni, comprendiamo che la nostra coscienza ha bisogno di continua formazione per essere capace di scelte rispettose del bene delle persone e di tutta la società.
Tocchiamo qui un tasto dolente perché da più parti registro la lamentela che mancano da tempo luoghi di formazione per futuri politici e occasioni di riflessione per quanti sono già impegnati in questo servizio.
Senza entrare in merito alle cause storiche di tale carenza, posso solo promettere che l’Arcidiocesi di Udine sta pensando a farsi promotrice di percorsi di formazione politico-amministrativa in continuità con l’Assemblea diocesana dell’11 ottobre 2011 ‘Cristiani in assemblea per il futuro del Friuli’. Nel mio intervento di allora richiamavo alcune caratteristiche di un cristiano impegnato in politica. Vorremmo, ora, offrire l’opportunità a giovani per formarsi secondo tali caratteristiche che, per altro, credo possano interessare ad ogni politico di buona volontà.
2. La capacità di sinergia e di collaborazione
Un secondo segnale di speranza che le persone attendono dai loro amministratori è l’impegno a creare sinergie tra soggetti diversi ma orientati verso l’unico bene comune.
L’immagine che mi viene è quella della rete che trasmette un senso di sicurezza perché tiene assieme tutti senza perdere nulla, un senso di efficacia perché permette di pescare tutte le risorse, un senso di comunità perché ognuno si intreccia con l’altro pur nella diversità.
Conoscendo, in questi tre anni di episcopato a Udine, la realtà religiosa, sociale, economica, culturale del nostro Friuli mi sto rendendo sempre più conto della ricchezza di comunità piccole e grandi, di soggetti singoli e associati, di valide iniziative che ospita questa terra. Se tra loro fosse più stabile ed efficiente una rete di relazioni e collaborazioni, veramente la ‘pesca’ sarebbe più ricca; per non dire ‘miracolosa’, ricordando il racconto evangelico.
Quando c’è abbondanza di risorse la collaborazione è sempre utile ma può apparire non così necessaria. Credo diventi decisiva per superare un tempo di prova come l’attuale e uscirne tutti assieme senza pagare prezzi troppo alti. Se riusciremo a creare migliori sinergie ci ritroveremo, anzi, più arricchiti dall’esperienza di pensare assieme, di accoglierci reciprocamente con stima e fiducia, di valorizzare le diverse risorse per il bene di tutti.
In questo impegno, i politici e gli amministratori sono chiamati ad essere in prima fila sia dando esempio di buona collaborazione tra loro, sia deliberando orientamenti che favoriscono sinergie tra i vari soggetti che compongono la società, sia impegnandosi in pazienti mediazioni per favorire una rete virtuosa nel territorio.
La Chiesa di Udine è pronta ad affiancare attivamente l’impegno a creare rete a tutti i livelli. Per natura sua la Chiesa vive grazie alla comunione di tanti doni diversi che lo Spirito di Dio suscita tra i suoi membri. Forti di questa vocazione, nel prossimo futuro, ci impegneremo ad aprire dialoghi costruttivi e a cercare forme stabili di confronto e collaborazione con tutti i soggetti interessati a sviluppare al meglio le risorse del popolo friulano.
Tra un mese la comunità regionale celebrerà il 50° compleanno dell’autonomia stessa della Regione. Può essere un’occasione preziosa per avviare una riflessione non soltanto di retroguardia, ma che ci permetta di ragionare su quello che resta da fare.
Quando parliamo di Friuli Venezia Giulia, o dei nostri Comuni, non parliamo tanto di simboli o di confini, di bandiere e bilanci: parliamo di un patrimonio di valori e di alleanze, costati virtù e sangue e pazienza e sudore, divenuti istituzionali. Questo patrimonio è sottoposto a tensioni e può rischiare il collasso se pensiamo di risolverne le disfunzioni tirando fuori la nostra piccola parte dall’alleanza complessiva.
La Chiesa è pronta a cercare assieme un modo per salvaguardare il sistema delle nostre migliori alleanze: famiglia, democrazia, scuola, sistema sociosanitario, imprese, rapporto tra cittadini e imprese e pubblica amministrazione, forze sociali e rappresentanze sindacali, mercato, tribunali, realtà culturali, associazionismo, volontariato, e molto altro ancora. Questi sono i legami vitali che fanno vivere le persone e le istituzioni.
3. Un programma di governo imperniato su nuclei forti
Compito dei politici e amministratori è governare il bene avendo chiare le questioni decisive per il bene della società e di quanti la compongono e costruendo su di esse progetti e programmi attuativi.
Nell’Assemblea diocesana dell’11 ottobre 2011, già ricordata, l’Arcidiocesi ha proposto alla riflessione comune cinque grandi temi che tutti dovrebbero considerare decisivi per il futuro del Friuli. Li ho ricordati nel nostro incontro del Natale scorso promettendo che su di essi avremmo sviluppato un’approfondita riflessione.
Su questi cinque temi si sono coinvolte per quattordici mesi, in diverse tappe, oltre centocinquanta persone, costituendosi in Comunità di Ricerca. Esse hanno accolto l’appello della Chiesa diocesana a condividere esperienze, intelligenze e speranza per dare qualche significativo contributo alla ricerca del bene comune in questa nostra terra, affrontandone le principali criticità. La Chiesa ha così creato spazi e tempi perché i cristiani possano esercitare nella loro autonomia di coscienza, illuminati dalla dottrina sociale della Chiesa stessa, un discernimento attento su questioni di strategica importanza per il futuro di questa società.
Ricordo che le questioni affrontate sono: 1. il cambiamento demografico, che si fa acutissima urgenza per le conseguenze pesantissime che comporta sulle generazioni più giovani e su quelle a venire. 2. La necessità di conciliare sapientemente famiglia e lavoro, trovando strumenti concreti per armonizzarne le reciproche esigenze. 3. La delicatezza di qualsiasi intervento di riforma che tocchi il sistema sociosanitario della Regione, poiché mai come in quell’ambito le scelte sulle strutture e sulle logiche di fondo hanno ripercussioni sulle persone e in particolare su quelle più fragili e bisognose. 4. La permanente depressione del sistema montagna in Friuli, che ancora non ha trovato il modo di catalizzare virtuosamente lo sviluppo di una porzione così bella e così culturalmente, naturalisticamente e spiritualmente ricca della nostra Piccola Patria. 5. L’opportunità di porre mano all’assetto istituzionale, non perché le imposizioni di stabilità dei bilanci pubblici dei vari livelli mettano in discussione l’eredità giunta fino a noi, ma per meglio servire il bene comune, il bene del Friuli Venezia Giulia e il bene dell’Italia e dell’Europa.
Per ognuna di queste materie le Comunità di Ricerca hanno raccolto le loro riflessioni in un testo che esse offrono sia alla Chiesa diocesana che all’intera comunità regionale come contributo di idee nate alla luce della fede e della Dottrina sociale della Chiesa. Pur nella loro perfettibilità, mi sembra che questi testi, per le analisi competenti e le proposte lungimiranti, si propongano come un contributo qualificato e disinteressato alla ricerca della giustizia e del bene. Ringrazio tutte le persone che si sono impegnate e i loro coordinatori per le buone idee offerte e per la testimonianza di una passione per la comunità sostenuta dalla forza della fede.
Come Arcidiocesi consideriamo i risultati del lavoro delle cinque Comunità di Ricerca un’ulteriore tappa di quel cammino che si è avviato nella ‘Assemblea dei cristiani per il futuro del Friuli’ dell’11 ottobre 2011 e che mira ad una seconda Assemblea che contiamo di realizzare il prossimo anno giungendo con proposte operative a cui ho fatto cenno anche nel corso di questo mio intervento.
‘Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce’. conclusione
Mi avvio alla conclusione con la speranza che le riflessioni, che mi sono permesso di condividere con voi, siano accolte come un semplice e utile contributo a meglio esercitare la responsabilità nei confronti del bene comune della nostra gente.
In un tempo in cui è necessario puntare all’essenziale ho indicati tre capisaldi e offerto un testo di analisi e proposte su cinque temi vitali per un buon futuro del Friuli e, ci permettiamo di dire, dell’Italia,
Di fronte a queste prospettive grandi e impegnative non possiamo, però, non toccare con mano la limitatezza delle nostre forze. In mezzo a noi la gente non troverà nessun salvatore anche se a volte si ha l’impressione che se ne cerchi uno per uscire dalla crisi che perdura.
Ci auguriamo che trovi almeno uomini e donne pronti a mettere in gioco i loro talenti con profonda onestà e collaborando al vero bene delle persone, delle famiglie, delle giovani generazioni.
Basterà l’impegno di politici e amministratori per la salvezza della nostra società? No, perché è vero che gli uomini hanno bisogno di un Salvatore. Egli non può, però, essere trovato in mezzo a noi ma solo raggiungerci dal Cielo. Quanto ho affermato altro non è che l’annuncio del Santo Natale: ci è nato un Salvatore.
La grandiosa profezia di Isaia, che abbiamo letto nella preghiera di inizio, suona con straordinaria attualità. ‘Il popolo che abitava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse .. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio’.
Il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto, a ricordo dei 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II e dei 20 dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, un ‘Anno della fede’. E’ un forte invito a ricordare che quando la cultura occidentale ha spento il Sole della fede è rimasta a brancolare nella notte alla flebile luce di piccole lanterne, secondo la nota immagine del grande filosofo Nietzsche.
Nei confronti della fede ognuno di noi si trova in situazioni diverse. In ogni caso, come ho ricordato nella mia Lettera pastorale ‘Ho creduto, perciò ho parlato’, il cammino della fede non è mai un percorso a buon mercato, neppure per un Vescovo, perché ‘la fede non è un faro che illumina un chilometro di strada ma una fiammella fedele che illumina il passo successivo; una mano che mi conduce anche se, a volte, resta in penombra il volto del mio Compagno di viaggio’ (n. 7).
Invoco su di me e su di voi la misteriosa scintilla della fede che ci faccia riconoscere in Gesù l’unico Salvatore e nel suo Vangelo la luce che rischiara ogni angolo delle coscienze e ogni tornante della storia umana.
Buon Natale e un nuovo anno accompagnato dalla Provvidenza di Dio!
+ Andrea Bruno Mazzocato
Arcivescovo di Udine