Cari Fratelli e Sorelle,
con le lettere e i messaggi inviati attraverso il settimanale diocesano «La Vita Cattolica» e gli altri mezzi di comunicazione, ho cercato di esservi vicino e di aiutarvi a vivere con fede e carità il tempo di questa Quaresima, segnata da sofferenze e inquietudini mai provate prima.
Siamo giunti così alla grande festa di Pasqua, nella quale celebriamo la risurrezione dalla morte di Gesù crocifisso. Certo, è più difficoltoso scambiarci i consueti auguri pasquali mentre nel cuore pesano ansie ed incertezze per il prossimo futuro.
Per questo, come Vescovo, sento che quest’anno il Signore risorto mi chiede di indirizzarvi un augurio, se possibile, ancora più ardito del solito, andando al centro, al cuore della nostra fede.
Mentre cercavo dentro di me parole sincere, non frasi d’occasione, mi è venuto in mente il racconto evangelico dell’apparizione di Gesù all’apostolo Tommaso, il quale – com’è noto − non riusciva a credere alla risurrezione del Cristo.
Gesù allora gli fa toccare col dito le piaghe lasciate nelle mani dai chiodi e la ferita inferta nel costato dalla lancia del soldato. Vuole che Tommaso constati che è proprio lui, risorto con quel suo corpo che era stato flagellato, torturato e inchiodato sulla croce. Sue sono le ferite che la cattiveria umana aveva aperto nella sua carne, fino a farlo spirare sulla croce.
Ora, però, quelle ferite sono non più dolorose ma luminose. Sono segni di vita e di vittoria. Toccandole, in Tommaso si accende la fede e capisce che in Gesù non ha vinto quella terribile potenza che domina ogni uomo e si chiama peccato e poi morte. In lui piuttosto ha vinto la potenza dell’amore di Dio che lo aveva portato a sacrificarsi senza misura, rispondendo agli insulti con la sopportazione, all’ingiustizia con il perdono, all’odio cieco con il dono della vita.
Tommaso cade in ginocchio davanti al Signore risorto ed esclama: «Signore mio e Dio mio!». Gesù, allora, lo invita a seguirlo sulla sua stessa strada consumando anche la propria esistenza con lo stesso amore nel cuore, sicuro che quella è la nuova strada per la vita eterna.
Ricordiamo tutti il volto di Madre Teresa di Calcutta verso la fine della sua esistenza terrena. Era quello di un’anziana, contrappuntato da una ragnatela di rughe che impreziosivano la sua carne e raccontavano del suo consumarsi per i più poveri in forza dell’Amore di Gesù a cui si era consacrata. Quelle rughe erano state scavate da tante fatiche e sofferenze eppure trasmettevano un senso di serenità, di speranza, quasi di luce. Quella suora viveva già in questo mondo una vita nuova; riviveva Gesù, donandosi ogni giorno con l’amore di Dio nel cuore. La morte, per lei, è stata il passaggio definitivo verso Gesù risorto nel quale ora vive in comunione con tutti i santi. Il suo volto avrà ancora le rughe, ma sono rughe luminose come le ferite che il Risorto ha fatto toccare a Tommaso.
Come Madre Teresa, quanti santi sono morti portando nel corpo i segni della loro dedizione ai fratelli e nel cuore l’amore divino di Gesù crocifisso e risorto! Sono persuaso che alcuni di loro hanno incrociato anche la nostra vita o, addirittura, hanno abitato nella nostra famiglia.
Cari fratelli e sorelle, questo è il grande messaggio della Pasqua: chi vive come Gesù, donandosi corpo e anima con il suo stesso Amore, è già nella vita eterna. La morte fisica sarà il passaggio per raggiungere Gesù risorto, con Maria e tutti i santi.
Il male e la morte sono potenti, come si incarica di dimostrare questo virus devastante che sta insinuandosi anche nei i cosiddetti grandi della terra. Non dimentichiamoci, tuttavia, che ancora più devastanti sono i virus morali, i quali portano ad uccidere creature prima della nascita, a sfruttare i più deboli, ad imporre il dominio del denaro.
Ma dal giorno di Pasqua il male e la morte non hanno più l’ultima parola. L’ultima parola ce l’ha Gesù, che sulla croce ha prosciugato tutto il veleno del male, bevendo l’amaro calice fino alla morte. Ma il terzo giorno è risorto con il suo corpo segnato dalle ferite del suo sacrificio supremo.
A me e a tutti voi dunque offro il più intenso augurio pasquale: viviamo ogni giorno imprimendo nel nostro cuore e nel nostro corpo ferite d’amore. È la più grande grazia: giungere al termine del pellegrinaggio terreno assomigliando un po’ a Gesù, che non si è risparmiato nel portare l’amore di Dio in mezzo agli uomini. Ci accoglierà dicendoci: “Io ti conosco”.
Questa è la speranza che il Signore ha acceso il giorno di Pasqua uscendo, risorto, dal sepolcro.
+ Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo