Cari Fratelli e Sorelle,
Pasqua è − nella sua essenza − la festa della speranza e tutti in effetti avvertiamo in questi tempi il bisogno proprio di speranza, generatrice di serenità. Anche Papa Francesco, nella Santa Messa delle Palme, ha constatato: «L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati».
Desidero, allora, far giungere a tutti e a ciascuno un messaggio di speranza: che non viene da me, ma da Gesù risorto.
Come tutti voi, conservo nel cuore il doloroso ricordo delle persone care che la pandemia ci ha portato via, spesso senza neppure un ultimo saluto; e con loro, la memoria di tutti gli altri nostri morti. Per loro, prima di tutto, abbiamo bisogno di sperare. Ma chi può dare speranza ai morti?
Il Credo della nostra Chiesa di Aquileia dichiara: «[Gesù] fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, discese negli inferi, il terzo giorno è risorto, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre». Le icone antiche hanno tradotto queste affermazioni di fede in un’immagine bellissima. Rappresentano Gesù risorto che, avvolto da una veste bianca (segno che è il Vincitore della morte), va a cercare i morti che giacciono negli inferi. Va incontro ad Adamo, lo prende per mano e lo conduce, assieme ad Eva e a tutti gli altri morti, con sé alla destra del Padre.
Per la nostra esperienza sensibile sembra che il virus e gli altri mali riescano a strappare i defunti dalle nostre deboli mani, ma Gesù risorto ci assicura che le Sue mani sono in realtà assai più forti, più potenti della morte. A tutti coloro che sono stati uniti a Lui nel battesimo infatti ha promesso: «Nessuno li strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28). Per ciascuno dei nostri cari allora, come per ogni altro defunto, chiediamo la grazia che possa ritrovarsi stretto dalla mano crocifissa di Gesù risorto che lo porta con sé là dove non c’è «più morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Apoc 21,4).
Ai nostri sacerdoti va un sincero “grazie!” perché, con fedeltà da veri pastori, hanno tenuto viva questa speranza nel cuore dei parenti e delle comunità durante i tanti funerali che hanno celebrato.
I vangeli narrano che Gesù risorto, uscito dal sepolcro, andò ad incontrare gli apostoli, le donne che lo avevano servito e gli altri discepoli. Li trovò appesantiti dalla tristezza, dalla paura e dall’ansia dopo l’atroce morte in croce del loro Maestro.
Egli si fece toccare le mani forate dai chiodi e il costato ferito della lancia e disse: «Non abbiate paura! Sarò con voi tutti i giorni» (Mt 28, 5.20). Poi soffiò nel loro cuore lo Spirito Santo riempiendolo del Suo amore che era rivelato più forte della morte. Ebbene, questo amore alla prova dei fatti ha realmente sostenuto la speranza dapprima vacillante degli apostoli, come poi avverrà per i santi di ogni epoca. Di questa speranza abbiamo bisogno anche noi, oggi, per non farci sommergere dalle paure e dalle tristezze.
In questi mesi più volte mi sono trovato a promettere la mia e la vostra preghiera a medici e infermieri che si spendono nei reparti dei nostri ospedali, dovendo spesso reggere la morte del malato e lo strazio dei parenti. E loro puntualmente mi ringraziavano, ammettendo sinceramente che ne avevano bisogno. La nostra preghiera porta la presenza di Gesù nei vari reparti e infonde in ogni operatore il coraggio della resistenza e dell’apertura all’alto.
Mentre rinnoviamo loro profonda riconoscenza, auguro a tutti di respirare nuova speranza in questa festa di Pasqua. Essa sgorga dalla fede che ci fa sentire Gesù risorto vicino in ogni situazione e trasforma il nostro cuore, rendendolo più fedele e solidale verso i fratelli.
Questa è propriamente la vittoria definitiva sul virus della paura, quella che induce a rinserrarsi in se stessi. È la vittoria della Pasqua che ha come effetto quello di spalancare i cuori. Per questo osiamo, nonostante tutto, elevare alto e forte anche quest’anno l’Alleluja della fede e della speranza.
+ Andrea Bruno, vostro arcivescovo