Omelia nei Primi Vespri dei Santi Patroni Ermacora e Fortunato (11 luglio 2025)

11-07-2025

Cari fratelli e sorelle,

credo che sia utile collocare la festa dei Patroni nel cammino che la Parola di Dio ci sta facendo compiere nel Tempo ordinario, un percorso che vede il Signore affidare la missione dell’evangelizzazione ai suoi discepoli. Gesù non li invia da soli: nel Vangelo di Luca i discepoli vengono mandati “a due a due”. È importante sottolineare questo aspetto: non da soli.

La Chiesa raccoglie questa missione: si stabilisce un’alleanza che niente e nessuno potrà spezzare, tra Dio e l’umanità, tra Cristo e la Chiesa. In passato si diceva: “Cristo sì, la Chiesa no”. Ma non è vero! Sant’Ireneo di Lione diceva: «Dove è la Chiesa c’è lo Spirito di Cristo e dove c’è lo Spirito di Cristo c’è la Chiesa». Con la festa dei Santi Patroni Ermacora e Fortunato possiamo riscoprire questa verità: l’unione indissolubile tra Cristo e la Chiesa.

Tramite la Chiesa possiamo così risalire alla professione di fede di Pietro: «Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivente!». Una fede che, tramite San Marco e poi Sant’Ermacora, è giunta fino ad Aquileia.

In Cristo possiamo davvero essere “uno”, come ricorda Papa Leone XIV fin dal suo motto episcopale; tramite i Patroni possiamo ritrovare l’unità nella nostra Arcidiocesi. Non come uniformità, ma come armonizzazione delle differenze che ci sono anche nelle diverse lingue, nelle tradizioni che caratterizzano la nostra Chiesa e le varie parti del Friuli. Noi possiamo vivere l’unità della fede: attraverso i Patroni possiamo aprirci anche ad altre tradizioni e culture, persino ad altri continenti come avvenne per Aquileia, città dove molte tradizioni si sono incontrate e accolte. Lo facciamo con fiducia, perché – come sancito nel Concilio di Nicea, 1700 anni fa, Gesù Cristo è l’unico Figlio di Dio. È in questo modo che possiamo ritrovare l’unità in un mondo così conflittuale, con tensioni che possiamo sperimentare anche nelle nostre comunità.

Dopo queste celebrazioni patronali siamo chiamati, dunque, a essere “martiri”, ossia “testimoni”, perché anche i nostri nomi, come i loro, siano «scritti nei cieli».