(1 Cor 5,1-9; Gv 21,15-19). Dopo la pesca miracolosa, Gesù risorto si rivolge a Pietro e lo interpella col suo vecchio nome: ‘Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?’. Pietro risponde: ‘Certo, Signore, sai che ti voglio bene’. E Gesù gli consegna la sua Chiesa: ‘Pasci le mie pecore’.
Questa sera non ci è difficile vedere, al posto di Pietro, Benedetto XVI in ginocchio davanti a Gesù che risponde: ‘Tu sai, Signore, che ti voglio bene’.
E’ stato fedele Successore di Pietro, prima di tutto, perché ha imparato dall’apostolo lo stesso amore personale per Gesù dal quale è nato, di conseguenza, il suo amore per la Chiesa.
Gesù è stato ed è al centro dei pensieri, degli interessi, dei sentimenti di Benedetto XVI e ce ne ha dato recente testimonianza nei tre volumi dedicati a Gesù di Nazareth; un autentico testamento spirituale e teologico.
Dal quotidiano colloquio di amore con Gesù, Buon Pastore, ha ricevuto l’amore per la Chiesa per la quale si è speso senza calcoli, con umile obbedienza; anche quando, già anziano, gli è stato chiesto dal Signore di abbracciare il gravoso ministero di Successore di Pietro.
Ed ora si avvera per lui anche l’ultima parte del dialogo tra Gesù e Pietro: ‘quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi’. Per Benedetto XVI è arrivato il tempo della vecchiaia e, con le forze al lumicino, si trova a seguire, con immutata fedeltà, la volontà di Dio che lo conduce a percorrere il tratto finale della sua esistenza terrena in un modo, credo, totalmente inatteso. Come ripetutamente ci ha detto in questi giorni, ha capito che Gesù gli chiedeva l’estremo sacrificio di consumare le residue energie amando la Chiesa nel nascondimento e nella preghiera.
E lui lo ha seguito lasciandosi condurre, con la semplicità dei poveri di spirito e l’intelligenza dei sapienti secondo il Vangelo, fino a compiere un passo di portata storica,
Ha riconosciuto, con non comune onestà di coscienza, che le grandi sfide a cui la Chiesa è chiamata in questo tempo erano diventate troppo faticose per le sue forze. E non credo che siano quelle di modesto livello di cui tanto si è parlato in questo tempo, ma piuttosto le due sfide che Benedetto XVI ha affrontato continuamente negli otto anni del suo pontificato.
La prima è quella di riportare la fede in Dio e in Gesù dentro il cuore, il pensiero, la cultura degli uomini d’oggi. Questo è il grande impegno missionario di una nuova evangelizzazione a cui la Chiesa è chiamata e che Benedetto XVI ha portato avanti per primo con la sua parola profonda e, insieme, accessibile a tutti. Ci lascia molti documenti e discorsi degni del più alto magistero della tradizione della Chiesa.
La seconda missione per cui si è speso con lucido coraggio e in prima persona è stata quella di promuovere, tra i cristiani, una radicale purificazione e conversione. Con grande umiltà non ha esitato a compiere atti di riparazione per i peccati commessi da membri della Chiesa, specialmente dai consacrati; e ha denunciato, con espressioni di inusitata schiettezza, gli scandali e i compromessi invitando alla conversione.
Continuerà questa sua missione pregando incessantemente perché tutti noi continuiamo a camminare sui due percorsi che lui con chiarezza ha tracciato.
Lo Spirito Santo ci convinca, allora, ad accogliere la grande eredità di Benedetto XVI e a riconoscere che anche la nostra Arcidiocesi ha bisogno, prima di tutto, di vescovi, sacerdoti, consacrate/i, sposi, laici che brillano per la loro fede genuina e che, umilmente, riconoscono l’urgenza di una continua purificazione e conversione per esser testimoni credibili di Gesù e del suo Vangelo.
Ho iniziato l’omelia applicando a Benedetto XVI le parole del Vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato, e immaginandolo in ginocchio davanti a Gesù al posto di Pietro.
Concludo riprendendo il testo della prima lettura perché anche la dichiarazione di S. Paolo possiamo quasi sentirla ripetere dalla voce di Benedetto XVI: ‘Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!’.
E’ stato servo di Cristo e della Chiesa, umile operaio della Vigna del Signore. E riconosciamo in lui la virtù che viene richiesta ad un buon amministratore: risultare fedele al compito ricevuto. Ci ha fatto capire che a lui interessa unicamente essere giudicato fedele dal suo Signore per cui, come Paolo, non è stato toccato dai più disparati giudizi che sono stati fatti su di lui, sul suo pontificato e sulla rinuncia finale. Ha mantenuto sempre una pacata serenità perché il suo giudice è il Signore.
Come figli affezionati al loro padre, affidiamo colui che è stato il nostro ‘Santo Padre’ al Signore Gesù per intercessione della Maria. E, contemporaneamente, cominciamo a invocare lo Spirito Santo sui Cardinali che saranno chiamati a scegliere il nuovo Pastore e Guida della Chiesa Cattolica.