Cento anni fa, l’ 8 giugno 1913, nasceva a Pagnacco il Vescovo Mons. Abramo Freschi. Con la celebrazione di questa S. Messa vogliamo ricordare Mons. Freschi che possiamo ben definire: figlio illustre di Pagnacco, della Chiesa udinese e della terra friulana.
Confesso subito di sentirmi poco adeguato a parlare di Mons. Abramo Freschi in quanto ciò che posso sapere di lui l’ho acquisito dai ricordi di coloro che l’ hanno conosciuto di persona e, magari, hanno anche scritto di lui; come, ad esempio, nel volume ‘Flamescat igne caritas. Abramo Freschi, sacerdote e Vescovo’ a lui dedicato nel primo anniversario dalla sua morte.
Mi limito, perciò, a condividere alcune personali riflessioni che sono nate in me leggendo e ascoltando notizie di Mons. Freschi al quale sia l’Arcidiocesi di Udine che le Istituzioni civili dovrebbero dedicare occasioni per un ricordo ben più ampio e documentato del mio.
Scorrendo la biografia di Mons. Freschi, è nato in me un senso di meraviglia per la quantità e la qualità di iniziative e di opere che egli ha realizzato in Friuli, nella Regione ecclesiastica del Triveneto, in Italia e all’estero. Non si può non riconoscere che a questo suo figlio Dio Padre aveva dato straordinari talenti di intelligenza, volontà, lungimiranza, capacità organizzativa e operativa. Nella parabola evangelica Gesù narra che il Padrone distribuisce i talenti in quantità diversa; Mons. Freschi era tra i servi che avevano ricevuto dieci talenti.
Non è, però, bravura dei servi aver ricevuto più o meno talenti ma, piuttosto, l’uso che ne fanno e il risultato che portano davanti a Dio al termine del loro lavoro, cioè, della vita terrena.
Che uso ha fatto Mons. Freschi dei talenti ricevuti dalla Provvidenza? Possiamo ben dire: parlano le sue opere. Limitandosi solo agli anni di sacerdozio, prima dell’ordinazione episcopale, non si può che definire straordinaria la sua dedizione instancabile nell’ideare e realizzare progetti di carità. Si è immerso in prima persona dentro tutte le principali emergenze sociali del tempo per portare alle persone provate dal bisogno un aiuto concreto e intelligente, che durasse nel tempo.
Nel leggere l’elenco delle grandi opere di carità avviate da Mons. Freschi, ho colto una caratteristica molto significativa del suo agire: non ha mai operato a titolo personale, come un leader provato, ma sempre a nome della Chiesa; è stato, nel campo della carità, il vero braccio destro dei suoi Vescovi e, poi, anche del Papa Paolo VI.
Anche nella collaborazione con le Istituzioni civili, dalle quali ha avuto anche incarichi diretti, è sempre stata chiara la sua identità di sacerdote che operava per la sua Chiesa e a nome di essa.
Questo, a mio parere, è il segreto e la sorgente che ha animato Mons. Freschi e lo ha portato ad impegnare le sue indubbie doti nella realizzazione di iniziative e strutture di carità, con una particolare attenzione ai bambini e ai giovani e alla loro educazione.
E’ stato sempre e prima di tutto un sacerdote a servizio della Chiesa e un sacerdote animato da una profonda spiritualità. Ad essa, credo, abbia guardato il Papa quando lo ha scelto per il ministero episcopale, affidandogli la cura pastorale della vicina diocesi di Concordia-Pordenone.
Il Concilio Vaticano II e i successivi documenti del Magistero hanno precisato che la spiritualità propria del presbitero diocesano è la ‘carità pastorale’. Egli è inviato tra i fratelli a portare tra di loro il cuore di Gesù Buon Pastore; un cuore che ama tutte le sue pecore, con particolare attenzione per le deboli, le malate, le sbandate.
Mons. Freschi è stato un sacerdote prima e un Vescovo poi, ardente di carità pastorale. Mi sembra, in questo senso assai significativo il motto che scelse per lo stemma episcopale: ‘Flamescat igne caritas’ (Infiammi come fuoco la carità).
In questo motto egli quasi riassume il senso della sua vita e attività che aveva fino ad allora svolto come sacerdote e che intendeva continuare nel ministero episcopale che iniziava. Rivela che tutto ciò che aveva realizzato, con rilevanti capacità organizzative e manageriali, aveva un anima e un’anima infuocata dalla carità di Cristo buon pastore che si dedica alle sue pecore senza risparmiare nulla, neppure la vita.
D. Raffaello Martin, segretario personale di Mons. Freschi, nella celebrazione di Trigesimo iniziava il suo intervento con una efficace espressione di San Carlo Borromeo: ‘La candela per far lume agli altri deve consumare se stessa’. Animato dalla carità pastorale, che Gesù gli aveva infuso nel cuore al momento dell’ordinazione sacerdotale, Mons. Freschi ha consumato tutte le sue risorse per illuminare di speranza e di amore i fratelli, specialmente quelli meno fortunati. E lo ha fatto non solo con le parole ma anche con fatti concreti e di notevole rilevanza.
E’ questa sua testimonianza di sacerdote e di Vescovo secondo il cuore di Cristo che mi è sembrato giusto ricordare in questa S. Messa a cento anni dal suo passaggio al Padre. Tanti altri aspetti della vita e dell’opera di Mons. Freschi dovranno essere messi in luce in altre occasioni. Ma mentre celebriamo il Sacrificio di Cristo è doveroso nei suoi confronti ricordare quanto egli si sia immedesimato in questo Sacrificio che ogni giorno ha celebrato e ogni giorno ha vissuto da vero pastore della Chiesa che si prodiga con opere concrete per il gregge del Signore. Questa testimonianza di Mons. Freschi è un’eredità preziosa per i sacerdoti e per tutta la Chiesa friulana.