Care sorelle e fratelli,
L’educazione è anche correzione
1. Mentre pensavo ad un messaggio da inviarvi per il tempo della Quaresima, mi sono tornate alla mente alcune parole della Lettera agli Ebrei: «E avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?”» (Eb 12,5-7).
continua a pag. 3
ueste espressioni della Parola di Dio ci riportano al tema dell’educazione sul quale stiamo riflettendo in tutta la diocesi. Esse, infatti, indicano un aspetto fondamentale di ogni azione educativa e, cioè, la correzione. Ad un bravo educatore non può mancare il coraggio di correggere, pur sapendo di arrecare una sofferenza al figlio.
2. I piccoli hanno già la tendenza ad assecondare inclinazioni e desideri che non sono per il bene loro e degli altri che hanno vicino. Se non vengono corrette, le cattive abitudini diventano, con gli anni, sempre più resistenti e per migliorarsi ci vuole sempre più fatica e sofferenza.
Un educatore che, per falsa compassione, non corregge i bisogni e i comportamenti sbagliati di un bambino o di un ragazzo non vuole il suo vero bene. Come ricorda il Papa nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno, la carità sincera chiede anche la «correzione fraterna». Non si amano i figli prendendosi cura solo del loro bene fisico e materiale ma, più ancora, della loro educazione spirituale e morale senza indulgere al male, anche a prezzo di correzioni che costano sofferenza sia all’educatore che all’educato.
Dio educa correggendo i suoi figli
3. Dio per primo si comporta con noi in questo modo come l’autore della Lettera agli Ebrei fa presente ai cristiani della sua comunità. Essi sopportavano rifiuti e anche persecuzioni a causa della loro conversione alla fede cristiana e al Vangelo. Nella prova si chiedevano perché Dio permettesse tali sofferenze ed ecco la risposta: «Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?».
Le gravi difficoltà che dovevano subire non erano tormenti senza senso, ma erano occasioni provvidenziali attraverso le quali Dio Padre correggeva coloro che erano diventati suoi figli in Gesù. Le sofferenze, patite da parte dei pagani, aiutavano i primi cristiani a capire la differenza tra la loro precedente condotta e la vita nuova insegnata dal Vangelo e li spingevano ad una continua conversione.
Il cristianesimo non spinge a cercare la sofferenza per se stessa. Ai suoi Gesù promette la gioia però attraverso purificazioni e, anche, persecuzioni. La prova diventa momento di correzione dai desideri distorti che portano a confondere la vera gioia con la soddisfazione egoistica dei sensi, con la ricerca del benessere materiale, con la voglia di potere.
4. Se l’autore della Lettera agli Ebrei scrivesse a noi oggi, probabilmente ci inviterebbe a guardare al momento di crisi, in cui ci troviamo, anche come ad una provvidenziale correzione di Dio. Pure a noi direbbe di non perderci d’animo ma di fare, piuttosto, un esame di coscienza personale e comunitario chiedendoci: che cosa vuol farci capire Dio in questo momento di prova? Quali erano gli interessi e i comportamenti che ci allontanavano dal Vangelo?
Mi permetto di approfondire questi interrogativi con qualche esempio:
* non c’è da ritrovare un ordine giusto per la nostra vita rimettendo al primo posto Dio secondo il primo comandamento: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22, 37)? Cominciando dalla riscoperta della domenica come «giorno del Signore»?
* Non dobbiamo riconoscere che abbiamo fatto spesso confusione tra fini e mezzi? Che possedere e consumare cose materiali non soddisfa, alla lunga, il nostro animo e per questo non può essere lo scopo per vivere? Che i beni sono mezzi non da accumulare per sé ma da condividere in gioiosa solidarietà, specialmente con chi ha meno o nulla?
* Non ci accorgiamo che la troppa fretta per le cose da fare e per i nostri interessi hanno logorato tanti rapporti, specialmente con persone care a cui avevamo promesso fedeltà? Che il gioco non valeva la candela specialmente dentro le famiglie?
Un tempo di difficoltà e di crisi non va giudicato necessariamente in modo negativo e sconfortato. Può essere, invece, un’occasione di rieducazione e di correzione da parte di Dio verso i suoi figli perché non si allontanino dalla strada «stretta» del Vangelo.
Concetta Bertoli, la crocifissa di Mereto
5. Oltre che correzione dai nostri compromessi, la sofferenza può diventare un’educazione verso la santità. Può essere una via impegnativa e misteriosa lungo la quale Gesù chiama alcuni discepoli a lasciare veramente tutto e seguirlo fin sulla croce per la salvezza dei loro fratelli.
Tra coloro che Gesù ha chiamato a seguirlo su questa via, desidero ricordare Concetta Bertoli, una nostra conterranea, morta a Mereto di Tomba nel 1956 dove era nata 48 anni prima. A 16 anni avvertì i primi sintomi di una malattia del sistema nervoso che la portò progressivamente alla totale immobilità.
Era nella piena adolescenza e faticò non poco ad accettare la strada di croce su cui Gesù la chiamava a camminare vicino a sé. Si affidò, però, allo Spirito Santo che la guidò a scoprire che quell’infermità ‘ umanamente da disperazione ‘ era una vocazione di amore per Gesù crocifisso e per i fratelli. Con Gesù anche Concetta è stata crocifissa: «la crocifissa di Mereto».
Nel 1938 riuscì a farsi portare a Lourdes, quando ormai non riusciva più neppure ad aprire la bocca e ricevere Gesù nell’Eucaristia. In quel santuario mariano confidò ad un sacerdote i suoi desideri più profondi: «Sai quello che ho chiesto alla Madonna? Di fare la comunione e l’ho fatta; e ho chiesto di giubilarmi con la mia malattia e poi il paradiso. Guarire no, ma soffrire per i peccatori, i missionari, i sacerdoti».
Concetta Bertoli è stata una donna friulana semplice ma affidata totalmente a Gesù che l’ha condotta lunga la sua stessa Via Crucis fino alla santità. Di essa è stata avviata la causa di canonizzazione e sono state scritte delle biografie che possiamo leggere.
La pedagogia della Quaresima
6. Concludo il mio messaggio nel quale ho desiderato ricordavi che Dio educa anche correggendoci attraverso momenti di prova e di sofferenza di vario genere. Questo è, anche, l’invito che la Chiesa ci rivolge nella Quaresima, tempo di preghiera e di penitenza per la nostra conversione.
Accogliamolo noi per primi e guidiamo i nostri figli su questa strada. L’educazione vera è anche correzione, magari a prezzo di alcune lacrime e di un po’ di sofferenza. Scrive S. Paolo ai Corinzi: «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato» (1 Cor 9,24-27).
Quanti sacrifici si fanno per ottenere dei risultati sportivi o professionali! Mostriamo amore verso i nostri bambini e giovani educandoli ai necessari sacrifici per imparare a vivere coerentemente secondo il Vangelo e realizzarsi come Gesù.
Questa è la strada della vera gioia che nessuno potrà toglierci né in questa vita né oltre la morte nella vita eterna.
Andrea Bruno Mazzocato
Arcivescovo di Udine
21-02-2012