1° QUARESIMALE: ‘CREDO’ (Ebr 11; Mt 15,21-28)
In queste soste pomeridiane di spiritualità e di arte, che vivremo nelle domeniche di quaresima, la nostra meditazione sarà guidata dall’Anno della fede che Benedetto XVI ha indetto a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II e a 20 dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Dopo aver indetto l’Anno della fede ora – ritirandosi dal ministero di Successore di Pietro ‘ ce lo lascia come preziosa eredità.
Questo grande Papa invita tutti a mettersi in cammino e ad attraversare la ‘Porta della fede’ per scoprire la salvezza e la speranza che Gesù ha portato in mezzo agli uomini.
Al n. 8 della Lettera apostolica intitolata proprio ‘Porta fidei’, egli scrive: ‘Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo’.
Accogliendo l’invito di Benedetto XVI, a cui va il nostro grato e filiale ricordo, dedicherò le catechesi dei quattro quaresimali di quest’anno all’esperienza della fede che sempre va rimotivata, purificata e approfondita.
Concretamente mediteremo il testo del Credo di Aquileia che ho riportato anche nella mia Lettera pastorale ‘Ho creduto, perciò ho parlato’. Nella Lettera osservavo che non è usuale che una Chiesa conservi per tanti secoli un suo ‘Credo’. Noi, eredi della Chiesa di Aquileia, lo abbiamo conservato e questo è segno della grandezza e dell’autorevolezza della tradizione cristiana da cui veniamo. Per conservare feconda questa tradizione torniamo a meditarlo; non tutto, ovviamente, ma quattro degli articoli che lo compongono.
Oggi fermiamo la nostra attenzione sulla prima parola: ‘Credo’.
Che cosa contiene questa breve parola? Che cosa vogliamo esprimere quando la pronunciamo? Che impegni ci prendiamo quando dichiariamo: ‘Credo’? Che cosa significa ‘avere fede’ e quanto importante è nella vita di un uomo?
Abbiamo appena ascoltato lo splendido capitolo 11 della lettera agli Ebrei. L’autore mostra come la fede sia stata il pilastro che ha sostenuto tutta la vita di Abele, di Noè, di Abramo e Sara, di Mosè, di tutti i grandi credenti dell’Antico popolo di Dio. Solo per fede vissero e morirono fedeli a Dio, loro salvatore. Gesù si è messo sulla stessa linea e, a chi invocava da lui salvezza, chiedeva solo la fede; così ha fatto con la donna cananea della quale egli fa l’elogio: ‘Donna, davvero grande è la tua fede’. Così la Chiesa, fin dalle origini, a chi desidera ricevere il battesimo e diventare cristiani chiede, come prima condizione, di professare: ‘Credo’ nel Padre, in Gesù suo Figlio e nello Spirito Santo.
Dio nell’Antico Testamento e, poi, Gesù ha chiesto sempre e prima di tutto la fede a quanti avevano bisogno della sua salvezza. La fede è la condizione perché egli possa fare nella nostra vita i miracoli che solo lui ha la potenza di fare. La fede è veramente ‘la porta’ che noi apriamo per incontrare il Signore e la sua misericordia infinita.
Un padre portò il suo figlioletto, stremato dagli attacchi del maligno, a Gesù facendo questa preghiera: ‘Se tu puoi qualcosa abbi pietà di noi e aiutaci’. E Gesù rispose: ‘Se tu puoi! Tutto è possibile a chi crede’. Solo il Signore ha in sé la potenza dello Spirito Santo che sconfigge il male che rovina l’esistenza degli uomini, però ha bisogno che noi gli apriamo la porta, come fece Zaccheo, e lo facciamo entrare nella nostra casa.
Apriamo la porta a Gesù quando professiamo: ‘Io credo’, mi affido totalmente a te, metto in te tutta la mia fiducia e la mia speranza. Dice sant’Agostino in una delle sue grandi intuizioni: ‘Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi’ (Sermones, 169, 11, 13: PL 38, 923). Egli chiede la nostra collaborazione e noi gliela doniamo solo quando arriviamo a dire con la bocca e con il cuore: Io credo in te.
Quando, infatti, confessiamo personalmente e comunitariamente ‘Credo in Dio Padre onnipotente, e in Gesù suo Figlio unigenito morto e risorto per noi e nello Spirito Santo che ci da la vita’, noi ci mettiamo al nostro giusto posto davanti a Dio e a Gesù.
Riconosciamo, prima di tutto, che non siamo autosufficienti; che non abbiamo noi il potere di donarci la vita, la speranza, la liberazione dal male che ci tormenta e dalla morte che inesorabilmente ci distrugge alla fine. Noi siamo piccole e deboli creature che solo da Dio e da Gesù, che lui ha inviato, possiamo attendere la vita, la gioia, la speranza che non delude.
Riconosciamo, inoltre, che Dio non si aspetta che noi siamo capaci di meritarci con le nostre forze la sua bontà onnipotente; non ci chiede di collaborare facendo qualcosa di buono con le nostre capacità. Non ne siamo capaci perché siamo sotto la schiavitù del peccato e della morte. Ci chiede solo di avere il grande cuore della donna cananea che si mette davanti a Gesù e implora: ‘Signore, aiutami perché mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio’. La sua insistente e totale fiducia in Gesù, unita all’amore di madre, apre la porta alla salvezza della figlia. Lei, per quanto amasse sua figlia, non poteva nulla contro il male che la tormentava, ma poteva mettersi in ginocchio davanti a Gesù e implorare: ‘Signore aiutami! Io credo solo in te’. Ed ecco la risposta ammirata del Signore: ‘Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita’.
Nella mia Lettera pastorale ho scritto: ‘Quando ho saputo che Benedetto XVI voleva un Anno della fede, ho immediatamente pensato che aveva obbedito ad un’ispirazione dello Spirito Santo perché ha capito che abbiamo un grande bisogno di ritrovare la ‘porta della fede’ e di varcarla per ritrovarci a casa, nella famiglia dei figli di Dio’.
Quando non sappiamo più confessare con la bocca e con il cuore ‘Io credo in Dio e in Gesù, suo Figlio’ noi perdiamo il giusto posto nella vita, diventiamo come delle persone che vagano nel deserto perché hanno smarrito la strada.
E la possiamo smarrire in due modi che ho appena ricordato e, purtroppo, ritroviamo anche tra i cristiani. Il primo è la pretesa di arrangiarci nella vita senza affidarci a Dio, magari mettendo tutta la fiducia nelle risorse della scienza o nei mezzi materiali. Il secondo è la pretesa che la Chiesa e le nostre comunità cristiane possano andare avanti bene grazie ai nostri sforzi, alle nostre programmazioni, alla nostra capacità di convincere; cioè, ai nostri meriti.
Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che queste pretese si stanno rivelando vane e nella società e anche nella Chiesa c’è un diffuso senso di disorientamento. Per ritrovarlo c’è una parola che può guidarci: ‘Io credo’, credo in Dio e in Gesù, suo Figlio, fatto uomo.
C’è una sola preghiera che troviamo nel Vangelo e che è necessario ripetere senza stancarci: ‘Credo, aiutami nella mia incredulità’ (Mc 9,24).