Omelia in occasione della Santa Messa del Crisma (Giovedì Santo, 13 aprile 2017)

14-04-2017

Saluto con affetto i fratelli Vescovi,

 

i confratelli Sacerdoti sia diocesani, sia provenienti da altre Chiese e che ci aiutano nel ministero, i Diaconi, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e i carissimi Fratelli e Sorelle laici. 

 

Inizio l’omelia, che desidero condividere con voi, con le parole del libro «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen». È una solenne dossologia con la quale Giovanni introduce le lettere alle sette Chiese dell’Asia che erano nella prova e che, per questo, avevano bisogno di sostenere la loro fede e la loro speranza e di ritrovare una fedeltà più autentica al Vangelo.

 

Neppure nel nostro tempo mancano le prove per coloro che hanno scelto di seguire Gesù Cristo impegnando per lui tutta la loro vita. Penso in questo momento, in modo particolare, a noi vescovi e presbiteri; alle sofferenze spirituali e morali, alle fatiche, alle delusioni e solitudini che non raramente ci riserva il nostro ministero. Anche la Chiesa di Udine è una madre che vive un tempo di sofferenza e di prova, vedendo tanti suoi figli allontanarsi da lei con un atteggiamento di indifferenza che fa male e lascia, a volte, un senso di impotenza.

 

Come le Chiese dell’Apocalisse, anche siamo chiamati, nella prova, a rendere più viva la nostra fede in Gesù e la nostra fedeltà alle esigenze del Vangelo senza scivolare in compromessi un po’ tiepidi che alla Chiesa di Laodicea costarono un grave rimprovero da parte del Risorto. Confessiamo, allora, la nostra fede con le parole della dossologia appena ricordata: «Gloria e potenza nei secoli dei secoli a Gesù che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue». In lui, Agnello immolato sulla croce e Vivente presso il trono di Dio, fondiamo ogni nostra sicurezza e speranza. Se restiamo aggrappati a lui quando si alza la tempesta, non ci perderemo perché, grazie al battesimo, ci ha uniti a sé e tra di noi col suo amore più forte di ogni male e della morte stessa. Siamo il suo regno che neppure satana può distruggere; un regno di sacerdoti, cioè, di consacrati a Dio Padre per dedicarci solo a suo servizio.

 

Riceviamo oggi una bella testimonianza di cosa significhi essere totalmente consacrati a Gesù e al Padre da voi, confratelli cari, che festeggiate una ricorrenza giubilare della vostra ordinazione sacerdotale. Vi ringraziamo dal profondo del cuore, cominciando da Lei, mons. Brollo, che con i suoi 60 anni di sacerdozio e 31 di episcopato ci mostra con l’esempio della vita come Gesù Cristo possa essere il tesoro prezioso per il quale rischiare tutto e come la propria Chiesa possa essere l’amore grande che riempire tutto il cuore. A lei, eccellenza, uniamo in un unico abbraccio fraterno, gli altri 21 confratelli diocesani e i 6 religiosi che ricordano da 25 a 75 anni di ordinazione. Alcuni, causa delle situazioni di salute, non sono fisicamente nella nostra assemblea liturgica, ma li raggiungiamo ugualmente con la nostra preghiera.

 

Permettete, però, che nomini delle persone che conosciamo bene e che sono per noi dei testimoni ancora più convincenti di quanto la consacrazione a Gesù possa veramente sostenere, senza pentimenti, tutta una vita. Mi riferisco ai confratelli che sono passati attraverso la morte e sono entrati nel regno di sacerdoti dove cantano la loro gioia rendendo lode al Trono di Dio e all’Agnello. Ricordo i nomi dei 13 che ci hanno lasciato dal giovedì santo dello scorso anno; così, li sentiamo più vicini come di fatto lo sono in questo momento: don Pietro Degani, don Ermanno Lizzi, don Ernesto Bianco, don Alfonso Barazzutti, don Renzo Infanti, don Dionisio Mateucig, don Carlo Polonia, don Angelo Battiston, don Domenico Zanier, don Simeone Musich, donSeverino Casasola, don Ottorino Burelli, don Alcide Piccoli. Essi stanno contemplando senza veli che la “potenza e la gloria” sono solo di Gesù che con la sua morte ha vinto la nostra morte e, Risorto, trionfa su ogni potenza di male. Essi ci invitano a rinnovare senza tiepidezze la nostra consacrazione a lui; e lo faremo tra poco rinnovando le promesse sacerdotali. Ci invitano a non cedere a smarrimenti e a compromessi anche se c’è qualche croce da portare e qualche prezzo da pagare di persona.

 

Da loro ci viene l’incoraggiamento a continuare a spenderci tutti assieme, vescovi e sacerdoti, per la nostra Chiesa di Udine, percorrendo con umile coraggio il cammino che lo Spirito Santo ci sta indicando in questo tempo. 

 

Mi riferisco, in particolare, al progetto diocesano che vedrà la costituzione delle collaborazioni pastorali e delle nuove foranie. Pur essendo convinti che questa è la strada da percorrere, sento che essa suscita tra noi presbiteri, anche apprensioni, incertezze e, forse, qualche paura. Non ci sorprendiamo queste reazioni perché siamo noi pastori che, per primi, tocchiamo con mano quanto impegnativo sia il progetto che ormai abbiamo deciso di avviare in tutta la diocesi. Umanamente è ben comprensibile che, guardandoci l’uno con l’altro, ci prenda l’impressione di essere troppo pochi e troppo deboli per guidare un le nostre comunità sul nuovo cammino che abbiamo delineato. E ci diciamo con sincerità che non si tratta solo di un’impressione; siamo veramente troppo deboli. Se ci misuriamo sul numero, sull’età, sulle capacità umane del nostro presbiterio, cominciando dal vescovo, l’impresa può fare veramente paura.

 

Ma proprio questa nostra debolezza, che tocchiamo con mano, può e deve diventare un momento di grazia per rafforzare la nostra fede in Gesù e per contare sulla potenza dello Spirito Santo, più che nelle nostre forze. È l’occasione favorevole perché per primi noi, vescovi e presbiteri, riscopriamo come agisce la potenza di Dio la quale è entrata nel mondo in attraverso la debolezza di Gesù Cristo morto in croce e ha sconvolto tutti criteri del buon senso e del calcolo umano. Questa potenza della Croce noi ce l’abbiamo ogni giorno tra le mani quando, celebrando l’eucaristia e ripetendo le parole potenti di Gesù, egli si rende presente realmente col suo corpo e sangue nel pane e nel vino consacrati. Noi siamo stati consacrati per essere servi dell’onnipotente Carità di Cristo che agisce sconvolgendo ogni pretesa e forza umana. Egli può ancora rinnovare e far crescere la sua Chiesa di Udine attraverso la debolezza (la stoltezza, dice S. Paolo) della nostra predicazione e i fragili segni del pane e del vino eucaristico nei quali mangiamo realmente il suo corpo e sangue e siamo riempiti del suo Spirito. 

 

Permettete, allora, cari confratelli, che vi inviti ad andare avanti nel cammino futuro che prevede le collaborazioni pastorali e le nuove foranie senza impaurirci per la nostra debolezza. Sosteniamoci, invece, nella fede in Gesù Cristo il quale, con le poche risorse nostre e la potenza del suo Spirito, può rinnovare la Chiesa di Udine suscitando inaspettate energie che non dobbiamo pretendere di controllare con i nostri programmi e organizzazioni. 

 

A noi chiede di collaborare mettendo il poco che possiamo con la generosità della povera vedova che getta due spiccioli nel tesoro del tempio. Ad una valutazione umana erano quasi niente ma agli occhi di Gesù erano un vero tesoro perché quella donna aveva dato tutto. Il Signore non cerca superuomini come pastori per il futuro della nostra diocesi; cerca “povere vedove” che impegnano quel poco che hanno ma con gioia e generosità di cuore. Tutti posiamo dare un piccolo ma prezioso contributo, come ricordavo ieri ai cari confratelli della Fraternità sacerdotale. Essi possono gettare nel tesoro della nostra Chiesa il sacrificio di una carità purificata dalla sofferenza e dalla debolezza. 

 

Chiediamo allo Spirito Santo di donare il poco o il tanto che abbiamo con gioia e generosità, vincendo la tentazione di ritararci per paura o rassegnazione. Chiediamo ancora la grazia di condividere tra noi la gioia e la generosità, volendoci bene e collaborando con umiltà, senza misurarci e giudicarci ma sostenendoci con pazienza fraterna gli uni con gli altri.

 

Se tutto il nostro presbiterio seguirà questa strada spirituale, la nostra debolezza non ci spaventerà più. Anzi avremo la gioia di contemplare i frutti dell’opera dello Spirito Santo e di cantare assieme: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen».

 

Udine, 13 aprile 2017