Omelia del giorno di Pasqua (1 aprile 2018)

01-04-2018

«Sento diffondersi oggi l’idea che la vita umana si esaurisca nei pochi anni che il destino ci ha dato e che, poi, la morte affoghi nel nulla i volti e i cuori, le gioie e i dolori delle persone che abbiamo amato. È una tristissima rassegnazione che fa perdere di valore tutta la nostra esistenza e spinge inevitabilmente all’egoismo, alla ricerca dei piaceri nei pochi giorni che abbiamo a disposizione. Gesù risorto ci mostra che questa è una menzogna perché ognuno di noi ha ricevuto un’anima immortale e un destino eterno». Così l’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, nell’omelia pronunciata oggi nella Santa Messa solenne della Domenica di Pasqua in Cattedrale a Udine. «Se ci lasciamo prendere per mano da Gesù egli ci condurrà, attraverso la morte e passando sopra la sua croce, a vivere con Lui e tutti i salvati la gioia piena del paradiso – ha proseguito l’Arcivescovo -. A meno che non rifiutiamo Lui e i nostri fratelli, finendo nel fallimento dell’esistenza che su questa terra si chiama egoismo e, oltre la morte, inferno». «Al momento della nostra morte – ha sottolineato ancora il presule – ci troveremo uniti a Lui se avremo vissuto avendo nel cuore e nelle azioni l’amore suo per Dio e per i fratelli».

Da qui dunque l’augurio che «la Pasqua di quest’anno accresca in noi la speranza e la carità: la speranza che Gesù ci attende anche quando tutti dovranno lasciarci con la morte e la carità per vivere i nostri giorni come Lui e uniti a Lui nel suo stesso amore».

Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata da mons. Andrea Bruno Mazzocato.

Cari Fratelli e Sorelle,

stiamo celebrando assieme la S. Messa della festa di Pasqua. È Pasqua di risurrezione perché ricordiamo Gesù, che dopo tre giorni che giaceva morto nel sepolcro, è risuscitato liberandosi per sempre dal carcere della morte dal quale nessun uomo ha la forza di evadere. Nel Vangelo che ci è stato appena letto, abbiamo ascoltato il racconto dell’apostolo Giovanni, un testimone oculare. Il mattino di Pasqua, avvisato da Maria Maddalena corse con Pietro alla tomba dove il venerdì sera aveva aiutato Giuseppe di Arimatea a deporre il corpo martoriato di Gesù. Entrò nella stanza sepolcrale scavata nella roccia e sulla pietra che serviva per adagiare il cadavere vide il lenzuolo funebre – quasi sicuramente la sindone che veneriamo a Torino – steso al suo posto ma che non avvolgeva più il corpo. E quel discepolo ci comunica il cambiamento che avvenne in lui: «Vide e credette». In Giovanni cominciò a nascere la fede. Cominciò a ricordare e comprendere il senso dell’annuncio che, più volte, Gesù aveva fatto ma che né lui né gli altri apostoli avevano capito: «Sarò catturato e ucciso ma il terzo giorno risorgerò».

Giovanni, assieme a Pietro e a Maria Maddalena, cominciò a capire che Gesù aveva veramente vissuto la sua Pasqua. Come penso sappiamo, «Pasqua» «passaggio» ed era la più grande festa degli ebrei nella quale essi ricordavano il passaggio di liberazione dall’Egitto, dove il popolo era schiavo e condannato all’eliminazione, verso una terra promessa da Dio. Era stato un passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. Era stato compiuto da Dio stesso con un’azione di salvezza, umanamente impossibile: il passaggio attraverso il Mar Rosso.

Nei giorni in cui gli ebrei celebravano la loro Pasqua, Gesù vive la sua Pasqua; il suo passaggio assolutamente più grande e impensabile di quello del Mar Rosso. Lo ricorda Pietro nell’annuncio che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Gesù, anche se nato da donna come ogni uomo, veniva da Dio e aveva con sé lo Spirito Santo di Dio. Egli «passò» tra noi uomini per «risanare e beneficare» coloro che erano schiavi del diavolo. Egli portò il suo amore dentro la peggiore cattiveria umana perdonando sempre anche quando fu ingiustamente condannato e appeso ad una croce. Fu deposto pietosamente e in fretta in un sepolcro da sua madre e da alcuni amici fedeli. Giacque senza vita, morto tra i tutti i morti della storia umana; senza eccezioni perché dalla schiavitù della morte nessuno evade, per quanti soldi e potere possa aver avuto in vita.

E di là Gesù ha completato la sua Pasqua, il suo passaggio: è risorto dai morti. Il male che aveva tentato di distruggerlo è diventato totalmente impotente e Gesù ha aperto la strada verso una terra promessa che era oltre la morte e nella quale lui è entrato per primo con il suo corpo risorto da morte.

Nuovo Mosè salvatore, non ha aperto la strada della liberazione solo per sé ma anche per tutti i morti che si aggrappano a lui nella fede. Nella Chiesa orientale la Pasqua di Gesù è rappresentata nell’icona detta della «discesa agli inferi». In essa si contempla Gesù risorto che scende negli inferi, nel luogo dei morti dove giacciono Adamo, Eva e tutti i morti della storia umana. Li raggiunge gettando sul baratro oscuro dell’inferno e della morte il ponte della sua croce. Dà la mano ad Adamo e lo accompagna con sé verso la terra promessa della vita eterna che lui ha aperto con la sua risurrezione. E lo seguono anche tutti gli altri morti che si uniscono a lui. Gesù risorto continua sempre a dare la mano ai morti che si affidano a lui e li accompagna a vivere la sua Pasqua, il suo passaggio verso la vita eterna, verso il paradiso. Quante persone care ci ha strappato la morte! La festa di Pasqua ci dà la speranza che, se le nostre mani sono state troppo deboli per trattenerle, le ha prese Gesù risorto e le ha portate con sé e con tutti i santi.

Prenderà anche noi, quando giungerà il momento della nostra Pasqua, del nostro passaggio finale; a condizione, però, che ci trovi aggrappati a Lui. L’unico legame che ci tiene uniti a Gesù è il suo amore. Al momento della nostra morte ci troveremo uniti a Lui se avremo vissuto avendo nel cuore e nelle azioni l’amore suo per Dio e per i fratelli.

Sento diffondersi oggi l’idea che la vita umana si esaurisca nei pochi anni che il destino ci ha dato e che, poi, la morte affoghi nel nulla i volti e i cuori, le gioie e i dolori delle persone che abbiamo amato. È una tristissima rassegnazione che fa perdere di valore tutta la nostra esistenza e spinge inevitabilmente all’egoismo, alla ricerca dei piaceri nei pochi giorni che abbiamo a disposizione. 

Gesù risorto ci mostra che questa è una menzogna perché ognuno di noi ha ricevuto un’anima immortale e un destino eterno. Se ci lasciamo prendere per mano da Gesù egli ci condurrà, attraverso la morte e passando sopra la sua croce, a vivere con Lui e tutti i salvati la gioia piena del paradiso. A meno che non rifiutiamo Lui e i nostri fratelli, finendo nel fallimento dell’esistenza che su questa terra si chiama egoismo e, oltre la morte, inferno.

Auguro a tutti che la Pasqua di quest’anno accresca in noi la speranza e la carità: la speranza che Gesù ci attende anche quando tutti dovranno lasciarci con la morte e la carità per vivere i nostri giorni come Lui e uniti a Lui nel suo stesso amore.