Catechesi in occasione del primo dei «Quaresimali d’arte» (10 marzo 2019)

10-03-2019

Nelle catechesi dei quattro quaresimali d’arte di quest’anno mediteremo sulle virtù; precisamente, su alcune virtù. È utile, forse, dire una parola introduttiva sua cosa siano le “virtù”. La teologia spirituale classica chiama la virtù “habitus”; cioè, un atteggiamento interiore “abituale”; un nostro modo di essere, di sentire e di pensare che un uomo ha imparato a vivere abitualmente e non solo occasionalmente. Ad esempio, avere di tanto in tanto degli slanci di generosità è cosa buona, ma non significa avere la virtù della generosità. Ha questa virtù chi ha educato la mente e  il cuore ad essere normalmente sensibile e disponibile alle necessità di chi gli sta vicino.

Prendiamo in considerazione come prima virtù: l’umiltà.

Il titolo che abbiamo nel libretto definisce l’umiltà: «Principio di ogni virtù». Ed effettivamente l’umiltà sta a fondamento di un rapporto buono con Dio e con i fratelli.

Per capire quanto sia fondamentale questa virtù basta considerare che i due esempi più grandi di umiltà sono Gesù stesso e sua Madre, Maria.

Gesù, come abbiamo sentito nella lettera ai Filippesi, pur essendo Dio come il Padre, spogliò e umiliò se stesso fino a lasciarsi denudare di tutto sulla croce. E i discepoli si propone lui stesso come modello di umiltà dice: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

Maria, nel suo Magnificat canta la sua umiltà: “Ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi diranno beata” (Lc 1,48).

Guardando a Gesù e a Maria, ci chiediamo: chi è l’uomo “umile? È colui che sconfigge dentro di sé il vizio della superbia, dell’orgoglio.

Per restare aderenti all’esperienza che ognuno di noi fa, ci soffermiamo su due manifestazioni dell’umiltà in contrasto della superbia.

  1. L’umiltà contro la vanagloria. Avere la forza di considerare gli altri superiori a noi stessi Scrive S. Paolo ai Filippesi: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso”.

La “vanagloria”, come indica il termine stesso, è una effimera ricerca di gloria mettendosi in rivalità con gli altri e cercando di mostrarsi a loro superiori. Chi riesce a prevalere sugli altri, in qualche, campo, si sente più importante, con più valore. È uno sforzo effettivamente “vano” perché dura finché non si trova un altro che nella rivalità prevale su di noi; e questo, prima o dopo, capita di sicuro.

A questa forma di superbia si oppone l’umiltà che, invece, “considera gli altri superiori a se stesso”. Non vive, però, questo atteggiamento con rabbia o amarezza, come uno che si sente sconfitto da chi è più forte di lui. Considera gli altri superiori a se stesso con serenità e con la pace nel cuore perché non cerca gloria dal confronto con gli altri. Sa di valere agli occhi di Dio e a lui affida la sua vita e il suo valore sia che sia stimato, sia che sia rifiutato dagli uomini.

Gli altri li considera superiori a sé perché si mette a loro servizio, come Gesù che si è inginocchiato e, come un servo, ha lavato i piedi agli apostoli. Si fa ultimo per servire tutti senza bisogno di mettersi in mostra sugli altri. E’ sostenuto da una grande forza interiore: la forza dell’umiltà.

  1. L’umiltà vera contro la falsa umiltà.

L’umiltà è una virtù che porta serenità e gioia nel cuore. Così era per Maria che canta il suo Magnificat sentendosi un’umile serva a cui Dio si è degnato di guardare.

C’è chi, invece, vive una falsa umiltà che lo porta a tenersi in disparte, a dichiarare di non valer niente, di non meritarsi eventuali elogi. Ma nel cuore cova sentimento di scontentezza e di amarezza che primo poi viene fuori. Questa è un’apparente umiltà che, di fatto, è superbia camuffata.

Il vero umile riconosce con gioia di non aver fatto nulla con le sue sole capacità ma vede che Dio ha guardato alla sua povertà e disponibilità e ha realizzato cose belle nella sua vita per sé e per gli altri. Per questo, come Maria, la preghiera più spontanea che gli sale dal cuore è quella del ringraziamento.

L’umile ringrazia per quello che è e per la sua vita; il superbo non è mai contento è non sa ringraziare Dio.

A conclusione, suggerisco di far nostra la breve invocazione  di Santa Teresa di Lisieux  che abbiamo recitato all’inizio: “Gesù, mite e umile di cuore rendi il mio cuore simile al tuo. Amen”.

 

Udine, 10 marzo 2019