OMELIA NELLA MESSA DEL CRISMA

05-04-2012


Eccellenza, confratelli del presbiterio della Chiesa di Udine, fratelli nel sacerdozio che provenite da altre Chiese, diaconi, consacrate e consacrati e fedeli qui presenti,


                        ‘congregavit nos in unum Christi amor’: questa intensa espressione del patriarca Paolino, patrimonio della nostra Chiesa madre di Aquileia, annuncia il Mistero del Giovedì Santo che stiamo celebrando nella S. Messa del Crisma e che completeremo questa sera nella S. Messa in ‘Coena Domini’.


E’ un Mistero perché è un miracolo; cioè, un’azione che solo Dio poteva compiere. Paolino, con parole ispirate, ci ricorda il miracolo che Gesù compì nell’Ultima Cena: ‘congregavit nos in unum’. E’ riuscito a fondere gli apostoli che aveva attorno a sé e tutti coloro che credono in lui ‘in unum’; in una comunione così forte da essere un solo Corpo, il suo Corpo, la Chiesa.


E’ partito da una situazione assolutamente scoraggiante. I vangeli ci descrivono in modo realistico e impietoso la situazione di quei dodici uomini che Gesù aveva riunito alla stessa tavola per la cena pasquale. Giuda aveva in tasca il compenso per il tradimento, Pietro era offuscato dall’orgoglio e gli altri dieci litigavano tra loro per stabilire chi avesse diritto al primo posto. Un po’ ci consola la povertà umana degli apostoli perché non erano meglio di noi. Gesù non ha scelto personalità eccezionali per fondare la Chiesa ma uomini comuni nei quali possiamo riconoscerci anche noi. Alla tavola dell’ultima cena possiamo sederci tutti, così come siamo. C’è posto per ogni uomo, in qualunque condizione sia, come Gesù aveva annunciato nella parabola degli invitati al banchetto di nozze.


Ma non ci potevano essere leggi o sforzi umani capaci di trasformare quella tavolata di invitati vari in una comunità di fratelli, con un cuor solo ed un’anima sola.


Ci voleva solo un miracolo divino e Gesù compie questo miracolo con la sua incarnazione, passione, morte, risurrezione e dono dell’eucaristia. Dopo il fallimento di tutti i tentativi umani di comunione con Dio e tra gli uomini, la SS. Trinità si muove direttamente. Il Padre manda tra gli uomini dispersi il Figlio unigenito che risponde: ‘Mi hai dato un corpo; ecco io vengo per fare la tua volontà’.


Creare la comunione tra gli apostoli e tra noi uomini – vista la condizione in cui erano e sono – al Figlio di Dio Padre è costato il suo corpo e il suo sangue di uomo, con i quali ci ha amati fino alla fine e nel suo corpo ha distrutto ogni barriera, fino all’estrema barriera della morte; ed è risorto con quel corpo segnato dalle ferite della crocifissione.


E proprio quel suo Corpo e Sangue ha messo a disposizione come cibo e bevanda nella tavola in cui ha raccolto gli apostoli e ogni altro uomo che accetta l’invito a sedersi.


Tra coloro che mangiano il suo Corpo e il suo Sangue Gesù compie il miracolo di riunirli ‘in unum’, unico Corpo in Lui, abitati dal suo unico Spirito Santo dell’Amore che Lui riceve dal Padre e ridona al Padre.


E’ il Mistero e il miracolo dell’eucaristia che gli apostoli, illuminati a Pentecoste dallo Spirito Santo, hanno subito posto al centro della vita loro e delle nascenti comunità cristiane.


Solo dopo essersi nutriti alla mensa del Corpo e Sangue del Signore dei deboli uomini possono trovare nel loro cuore quello Spirito dell’Amore che fa riconoscere nel proprio simile non un rivale con cui confrontarsi o un debole su cui passare sopra, ma un fratello di cui farsi servi fino a lavargli i piedi come ha fatto il Maestro e il Signore.


La coscienza della necessità vitale della celebrazione dell’eucarestia è stata trasmessa dagli apostoli dentro il cuore più profondo della Chiesa di tutti i tempi. Anche quando, per mancanza di un sacerdote, non è possibile avere la S. Messa neppure nel giorno del Signore, la comunità è invitata ad vivere un’altra forma di liturgia comunitaria ‘in attesa di presbitero’; nell’attesa sofferta di poter vivere la comunione con il Corpo e Sangue di Gesù risorto nell’eucaristia di cui vive la Chiesa e da cui nasce la carità.


Per assicurare ai suoi discepoli e alla sua Chiesa il nutrimento vitale del suo Corpo e Sangue, Gesù nell’ultima cena ha fatto un altro dono di cui oggi, giovedì santo, rendiamo grazie: il sacerdozio ministeriale.


E’ un dono che possiamo ancora chiamare anche miracolo divino. Gesù, con la potenza del suo Santo Spirito, sceglie e consacra i ministri dell’eucaristia. Li sceglie proprio tra quegli uomini che aveva a tavola, poco generosi e poco affidabili.


E ha scelto noi che credo tocchiamo con mano la nostra indegnità ogni volta che presiediamo la celebrazione eucaristica e Gesù ci fa talmente ‘unum’ con lui che realmente agiamo in Lui e Lui in noi,


Se l’umiltà non ci abbandona o l’abitudinarietà non ha il sopravvento, in ogni celebrazione eucaristia noi, vescovi e presbiteri, non possiamo non rivivere un sentimento di meraviglia e riconoscenza per ciò che Gesù ha voluto fare della nostra piccola e indegna persona.


Non possiamo, poi, non sentire l’invito di  Gesù ad entrare sempre più in quel suo amore senza misura che lo porta a donare se stesso, il suo Corpo e il suo Sangue per alimentare la carità nei cristiani e rianimare il cuore della sua Chiesa.


Quando, in prima persona, riviviamo i gesti e le parole di Gesù dell’ultima cena e poi doniamo il Corpo del Signore ai fratelli, dopo essercene noi cibati, noi partecipiamo alla lavanda dei piedi: Gesù si dona senza misura, si fa servo e cibo perché i poveri uomini abbiano la vita e in abbondanza. Noi che, per la grazia dell’ordinazione ricevuta, offriamo fisicamente il Corpo di Cristo siamo chiamati ad entrare nell’essenza della lavanda dei piedi; farci anche noi servi e pane spezzato per i fratelli senza resistenze per le loro miserie.


Ecco, che dalla presidenza dell’eucaristia nasce la nostra spiritualità di sacerdoti e servi che danno la vita perché i nostri fratelli siano ‘congregati in unum’ dentro le famiglie, nelle comunità, nella solidarietà con i più poveri.


Pur nella nostra piccolezza che non ci permette di sentirci meglio di nessuno, siamo un piccolo-grande dono e miracolo di Gesù; segno del suo amore infinito ed umano per la sua Chiesa e, anche, per ognuno di noi vescovi e presbiteri.


Sono stati un dono di Gesù i confratelli che sono passati a vivere il loro sacerdozio nell’eternità dal giovedì santo dello scorso anno. Desidero sempre ricordarli perché richiamiamo alla memoria ognuno dei loro volti, dei loro cuori e della testimonianza che ci hanno lasciato. In primis ricordiamo, l’amatissimo vescovo mons. Alfredo Battisti e, con lui, l’altro vescovo uscito dal nostro presbiterio, mons. Domenico Pecile. E poi: d. Mario Gerussi, d. Elio Venier, d. Pio Borgna, d. Ottavio Ferin, d. Angelo Peressutti, d. Paolino Della Picca, d. Dario Molinari, d. Adriano Menazzi, d. Francesco Gentile, d. Pietro Biasatti, d. Primo Minin, d. Quintino Fabbro, d. Aniceto Molinari, d. Paolo Caucig, d. Lionello Remor, d. Gelindo Marchetti, d. Valerio Marano. A essi permettete che aggiunga il ricordo del compianto Oreste Mineo.


Ringraziamo, poi, Gesù per il dono del sacerdozio fatto ai confratelli che ricordano quest’anno una ricorrenza giubilare fino ai 75 anni di d. Redento Bello. Non è tra noi come altri confratelli a cui le condizioni di salute non hanno permesso oggi di condividere questa celebrazione eucaristica ma che noi ricordiamo ora nell’affetto e nella preghiera, come ho promesso a vari di loro ieri nella S. Messa che ho celebrato alla Fraternità sacerdotale.


Questa nostra eucaristia, così solenne e familiare, sia il più grande inno di ringraziamento che rivolgiamo a Dio nostro Padre uniti a Gesù con il quale noi, vescovi e sacerdoti, formiamo un ‘unum’, un corpo solo in modo tutto particolare.


Nella gioia e nella riconoscenza rinnoviamo assieme l’impegno a vivere della stessa carità di Cristo dentro il nostro sacerdozio. Questo è il senso del rinnovo delle promesse sacerdotali che faremo tra poco.


Mentre andiamo verso l’Anno della fede chiediamo, in particolare, allo Spirito Santo la grazia di essere noi pastori, per primi, maestri e testimoni della fede in Gesù. Chiediamo di essere noi disponibili a varcare la ‘porta della fede’ che tante sorelle e fratelli accostano con esitazione. Un libro di Jacques Lew sul sacerdote aveva il titolo suggestivo: ‘Come se vedessero l’Invisibile’. Anche per noi il Padre è Invisibile ma lo Spirito Santo ci illumini perché lo riconosciamo nel Volto e Cuore di Gesù e sappiamo mostrarlo ai fratelli che hanno bisogno della Via, Verità e Vita.