Omelia in occasione della S. Messa solenne nella festa dei Santi Patroni Ermacora e Fortunato (12 luglio 2021)

12-07-2021

Cari Fratelli e Sorelle,

anche quest’anno celebriamo la festa dei Santi Patroni dell’Arcidiocesi e della nostra città di Udine in un clima di incertezza indotto dal virus del Covid ancora presente, anche se ci dà un po’ di tregua, permettendoci una certa normalità di vita e di relazioni. Ormai è diventato ospite abituale delle nostre conversazioni quotidiane, dei programmi dei mezzi di comunicazione, dei provvedi-menti amministrativi e governativi.

In questa omelia non ho intenzione di aggiungermi ai tanti discorsi che, comprensibilmente, vengono fatti sulla pandemia. Cerco, piuttosto di ricavare dall’esempio dei nostri Patroni una riflessione che aiuti ad interpretare il tempo che stiamo vivendo.

Sento da più parti paragonare lo sconquasso, creato dalla pandemia. alla situazione in cui il Friuli si è trovato dopo il devastante terremoto di 45 anni fa. Quanto e in che senso questo paragone sia illuminante lo potrebbero dire molti di voi che hanno direttamente vissuto quella dolorosa esperienza.

Da parte mia vorrei fare un passo più indietro, al tempo di Ermacora e Fortunato. Essi vissero nella grande città di Aquileia, la quarta dell’impero romano in Italia, la quale pativa le crepe ormai irreversibili che si stavano determinando all’interno quell’impero. Gli equilibri che la cosiddetta “pax romana” aveva instaurato in tutto il mondo allora conosciuto stavano cedendo. Sui diversi piani (politico, sociale, economico, culturale) si era innescato un impressionante terremoto sul quale, più tardi, fermò la sua attenzione anche S. Agostino nella grande opera “Civitas Dei”.

Qualunque onesta ricostruzione storica non può non riconoscere che Ermacora e Fortunato, assieme a tanti altri loro fratelli cristiani, offrirono con la loro fede un contributo decisivo per far nascere dalle macerie una nuova civiltà. Essi non avevano poteri politici e miliari o programmi economici e sociali per salvare la vecchia Aquileia romana ma portavano una Parola e un Germe vitale che di fatto, generarono un’Aquileia nuova, quella cristiana. Seminarono quella Parola e piantarono quel Germe non con potenti mezzi umani. Erano piuttosto − come ci ha ricordato S. Paolo nella seconda lettura − dei fragili vasi di creata, tali da venir facilmente frantumati dai poteri del tempo, fino ad essere uccisi e gettati via come inutili, se non pericolosi. Ma in essi, per usare sempre le parole dell’apostolo, era racchiusa una “Potenza straordinaria che veniva da Dio”. Quella Potenza, contro ogni previsione umana, piantò i pilastri di una nuova civiltà che quella romana, ormai decadente, non comprendeva più.

Sarebbe lungo soffermarci ad illustrare questi pilastri piantati dalla Parola nuova del Vangelo di Gesù, annunciata e testimoniata dai martiri. Mi limito a qualche cenno.

Il creato, l’uomo e la società umana sono governati da una legge che è stata inscritta da Dio creatore nell’ordinamento della vita. Questa legge non è un’imposizione che viene da fuori ma è un ineffabile orientamento d’amore di Dio, così che se l’uomo la segue vive in armonia con sé stesso, con gli altri uomini e con la natura. La tradizione filosofica e teologica cristiana l’ha definita: “legge naturale”. Se, preso dall’orgoglio e per affermare una propria malintesa libertà, l’uomo non la riconosce più demolisce gli equilibri buoni della vita personale e sociale.

Questa “legge naturale” che il Vangelo di Gesù ha rivelato ha dei principi decisivi tra i quali ricordo appena: ogni persona umana ha una dignità inviolabile perché è ad immagine di Dio; la famiglia, comunità costituita dall’amore tra un uomo e una donna fedeli reciprocamente e verso i figli è un valore assoluto che non può essere toccata da alcuna legge umana; il rispetto dei più piccoli e i più deboli è il principio di giustizia di ogni società civile; il Creato va salvaguardato perché in esso rifulgono la bellezza e la sapienza del Creatore.

Nella nostra epoca questi pilastri di civiltà piantati dal Vangelo, di cui Ermacora e Fortunato furono annunciatori e testimoni col sangue, sono stati progressivamente erosi e tale erosione è portata avanti con inquietante determinazione. Ebbene, la pandemia, come un violento tsunami, ci porta a riconoscere oggi quali siano le reali fondamenta su cui basiamo la nostra vita personale e sociale. Ci porta a chiederci quanto reggano quelle della civiltà iniziata ad Aquileia e quanto siamo conviti che quelle siano a tutt’oggi le basi solide per un buon futuro del Friuli e della città di Udine.

Consegno a tutti queste domande di decisiva importanza per noi e i nostri figli. Invoco, in questa S. Messa i Santi Patroni perché ci ottengano un po’ della loro intelligenza per comprendere quanto nel Vangelo ci sia l’unica sapienza per la vita e un po’ della loro fortezza per viverla con coerenza ognuno secondo il suo compito di responsabilità.

Udine, 12 luglio 2021