Omelia nella Santa Messa in occasione della Giornata della vita consacrata

02-02-2016
Cari fratelli e sorelle consacrate,
alla luce della Parola di Dio della festa della Presentazione di Gesù al tempio vi propongo qualche pensiero sulla nostra vocazione nella Chiesa, mentre concludiamo l’anno dedicata alla Vita Consacrata. Vi pregherei di ascoltare le mie parole come una condivisione semplice e sincera della bellezza della vocazione alla vita consacrata, come personalmente la vedo e cerco di viverla.
Maria, accompagnata da Giuseppe, entra nel tempio di Gerusalemme portando tra le braccia Gesù, poco più che neonato. Si vede venire incontro il vecchio Simeone, mosso dallo Spirito Santo. Simeone chiede alla madre di poter stringere anche tra le sue braccia il bambino e quando lo ha con sé, il suo cuore si spalanca in un inno di gioia piena: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli”.
 
Simeone non ha più desideri da raggiungere; non si aspetta niente altro dalla vita; non si preoccupa neppure della sua morte: “Lascia che vada in pace”. Ha Gesù tra le braccia e lo stringe al cuore. Quel bambino è tutto per lui; non ha bisogno di altro per sentirsi piena-mente contento di vivere. Quel bambino è la Luce, la Gloria, la Misericordia di Dio che è fi-nalmente arrivata a lui e lo avvolge in un abbraccio di salvezza. Può vivere o può morire; gli è indifferente perché è entrato nella Pace che nulla potrà più turbare e dalla quale nessuna potenza malefica potrà strapparlo. È al sicuro in eterno perché, mentre stringe tra le braccia il bambino Gesù, è Gesù che già lo stringe nel suo abbraccio di fedeltà e di misericordia invincibile.
 
Cari fratelli e sorelle, in Simeone ho visto il senso della mia vocazione di consacrato nella Chiesa: ricevere Gesù da Maria, stringerlo al cuore e non aver bisogno di altro; non sentire altri desideri da appagare che non trovino gioia e pace in Gesù. Con semplicità condivido con voi questa mia esperienza mentre confesso che, purtroppo, essa è ancora parziale perché restano in me desideri inquieti che cercano altre soddisfazioni e non trovano pace in Gesù; come, invece, la trovò Simeone e, con lui, la profetessa Anna.
Spero che su questo ci capiamo; noi che abbiamo ricevuto la grazia speciale della vocazione alla vita consacrata. I consacrati nella Chiesa hanno abbracciato Gesù con tutto il cuore e lui ci ha abbracciati con il suo amore di predilezione e di misericordia, senza vergognarsi o provare fastidio per le nostre miserie e debolezze. In questo abbraccio il nostro cuore trova la pienezza della pace, quella che solo Gesù può dare: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”.
 
Tutto il resto è un di più che possiamo donare ai fratelli, specialmente i più poveri, senza nostalgie o recriminazioni ma nella letizia: il tempo che ci resta, le nostre forze, le capacità, i beni materiali, gli affetti e la sessualità, la nostra libertà. Tutto possiamo donare nella ca-stità, povertà e obbedienza perché abbiamo già tutto. Abbiamo Gesù tra le braccia e nel cuore: alla sua luce vediamo la luce, nel suo Cuore conosciamo l’amore.
 
Questa è la nostra vocazione di consacrati nella Chiesa e da qui nasce anche la nostra principale missione. Ce la rivelano ancora Simeone e Anna: “Parlavano del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. Parlare a tutti di quel Bambino che abbiamo abbracciato e che ci ha riempito la mente, i desideri, il cuore, la vita: questa è la nostra missione. Parlare a quanti attendono la redenzione. E ci sono tante persone oggi che aspettano redenzione nella loro esistenza tribolata. Da noi non aspettano solo aiuti materiali, strutture ben organizzate, amicizia umana. Tutte cose buone ma che possono fare anche altri. Da noi consacrati le persone aspettano che parliamo del Bambino, di Gesù; perché noi lo abbiamo abbracciato, come il vecchio Simeone, e lo conosciamo. Troppi, pur battezzati, non conoscono più Gesù. Magari sanno della Chiesa, del Papa, dei vescovi, dei preti, dei religiosi; ma non conoscono Gesù e sono in attesa, senza, saperlo, della sua redenzione.
Che questo Anno della Vita consacrata ci sia servito a riscoprire il cuore della nostra vocazione: abbracciare Gesù e poter esclamare: “Ora, Signore, posso andare in pace dove mi porta la tua volontà”. E poi, saper parlare di lui con le parole, col sorriso, col cuore.
 
Cattedrale di Udine, 2 febbraio 2016