Omelia nella Santa Messa della solennità dei Santi Patroni Ermacora e Fortunato – 12 luglio 2016

12-07-2016

Nella seconda lettura biblica che abbiamo ascoltato, l’apostolo Paolo confida ai cristiani di Corinto la sua esperienza più personale. Paragona la sua persona alla fragilità di un vaso di creta. Non è stato un uomo potente che si è imposto grazie ad una brillante riuscita sociale. Secondo i criteri umani, è stato un perdente tribolato, sconvolto, perseguitato, colpito sia fisicamente che moralmente. Eppure i suoi toni non sono di uno sconfitto, ma di un vincitore perché nel vaso di creta del suo corpo e del suo cuore porta una potenza straordinaria che viene da Dio e che lui ha scoperto conoscendo e incontrando Gesù. Paolo ha introdotto questa potenza straordinaria tra gli uomini del suo tempo predicando il Vangelo in tutta l’Asia Minore, nella Grecia, fino a Roma. Dalla sua missione di povero vaso di creta è nata una fede, una nuova cultura, una nuova civiltà. 

 

 

La liturgia applica, a buona ragione, l’esperienza di Paolo ai nostri Santi Patroni, Ermacora e Fortunato. Anch’essi sono stati dei vasi di creta dentro la potente struttura sociale della grande città di Aquileia, fino ad essere considerati socialmente indesiderabili e venire soppressi col martirio. Eppure sono stati dei vincitori perché con la parola e con la testimonianza fino al sangue, hanno introdotto nella loro città la potenza straordinaria del Vangelo di Cristo che ha trasformato Aquileia e fatto sorgere una civiltà cristiana di cui sentiamo anche noi i benefici.

 

 

Meditando questa esperienza di Paolo e di Ermacora e Fortunato, mi tornava alla mente un testo di Basilio il Grande, ripreso anche da Papa Ratzinger in una sua conferenza sul rapporto tra fede cristiana e cultura. Basilio prendendo spunto dal profeta Amos, che si definisce «coltivatore di sicomori» ricorda che l’attività più importante di questo coltivatore consisteva nell’incidere il frutto di sicomoro perché fuoriuscisse il liquido interno e penetrasse aria e acqua pura. In questo modo, il frutto si purificava, prendeva sapore e velocemente maturava. Altrimenti restava insipido e, quindi, immangiabile.

 

San Paolo e i Santi Ermacora e Fortunato si sono comportati come il coltivatore di sicomoro.  Con la loro predicazione con la loro testimonianza fino al martirio hanno inciso la società del loro tempo e vi hanno fatto penetrare la Parola nuova del Vangelo che ha fatto trasformato le persone e tutta la società donando loro il sapore e il senso della vita. Sono maturati frutti buoni; frutti di fede, di solidarietà, di cultura, di arte, come possiamo ammirare nella grande tradizione cristiana di Aquileia di cui siamo eredi.

 

I nostri Santi Patroni lasciano a noi un esempio molto attuale. Anche in questi tempi la nostra città e i nostri paesi hanno bisogno di coltivatori di sicomori, di cristiani convinti, che con la parola e, specialmente, con l’esempio di vita facciano penetrare l’aria nuova e l’acqua pura del Vangelo. Indicendo l’Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco ci ha ricordato che il cuore del Vangelo si chiama misericordia. Il grande coltivatore è stato Gesù che con la parola e l’esempio ha inciso i cuori di tanti uomini e donne e li ha fecondati con la sua misericordia. In questo modo, quei cuori hanno preso un buon sapore, il sapore della misericordia e sono sorti i santi che hanno fatto del bene a tante persone e alla società del loro tempo.

 

Della misericordia del Signore c’è assoluto bisogno anche oggi. Un diffuso senso di insicurezza tende a far chiudere le persone in se stesse. Quando il cuore si chiude trattiene dentro di sé umori infetti quali la paura, il pessimismo, l’aggressività e l’arroganza per difendersi, il sospetto, l’egoismo, l’indifferenza. Diventa come un frutto che trasmette un gusto cattivo nella bocca di chi lo assaggia. Solo se si lascia incidere e penetrare dalla misericordia, il cuore dell’uomo si purifica ed offre il meglio di sé diffondendo in coloro che lo incontrano il gusto buono della compassione, della tenerezza, della pazienza, della fiducia, del perdono.

 

 

Abbiamo bisogno anche nella nostra città e nel nostro territorio friulano di persone che danno il meglio di sé perché usano le capacità e i talenti che hanno ricevuto per diffondere il gusto buono della vita, il gusto della misericordia insegnata da Gesù nel Vangelo.

 

Il Signore ha promesso: «Beati i misericordiosi perché riceveranno misericordia». Cominciamo da noi stessi. Facciamo un onesto esame di coscienza verificando quanto il nostro cuore è chiuso e trattiene  umori infetti, assorbiti dal clima in cui viviamo. Lasciamoci penetrare dalla misericordia meditando le parole del Vangelo che insegnano e trasmettono la misericordia vera del Cuore di Cristo. Come il frutto del sicomoro, anche il nostro cuore assumerà quel sapore buono che tutti apprezzano, specialmente i più poveri e provati dalla vita.

 

Alla fine della nostra esistenza avremo il riconoscimento più ambito per un uomo: sei stato misericordioso e meriti di essere accolto nell’abbraccio della Misericordia eterna. 

 

Cattedrale di Udine, 12 luglio 2016