Omelia nella Festa dei Santi Patroni Ermacora e Fortunato

12-07-2014
“Fratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”. Con queste parole dell’apostolo Paolo iniziava la seconda lettura biblica che abbiamo ascoltato.
 
In modo indovinato sono state scelte per ricordare i martiri Ermacora e Fortunato che in questa S. Messa festeggiamo come Patroni della diocesi e della città di Udine.
 
Nella città di Aquileia del tempo essi apparivano come fragili vasi di creta. Altri erano i potenti che dominavano; come, ad esempio, il governatore romano Savasto, di cui ci parla il racconto della “Passione di Ermacora e Fortunato” recentemente edita dall’Istituto diocesano “Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli” nel volume “Le passioni dei martiri aquileiesi ed istriani”. Egli poté infierire su di loro, fino al martirio per decapitazione, perché erano due uomini deboli ed indifesi.
 
In loro, però, si è realizzato quanto san Paolo afferma di sé: nella loro debolezza umana è apparsa una “potenza straordinaria”. Se del governatore Savasto nessuno si ricorda, dai martiri Ermacora e Fortunato, invece, è nata una tradizione cristiana che ha attraversato i secoli, ha forgiato la cultura del popolo friulano ed è giunta fino a noi.
 
Per la nostra esperienza questo è un paradosso perché la legge che domina il mondo sembra quella opposta: i deboli cedono e scompaiono schiacciati dai potenti di turno.
 
Ma per capire bene bisogna tener conto di una decisiva precisazione di san Paolo: “Questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”. Sant’Ermacora era ben cosciente di questo come rivela la preghiera che egli rivolge a Gesù Cristo davanti al governatore: “Guarda questa mia battaglia e concedimi di continuarla fino alla fine, di spegnermi nel tuo nome, perché io, che in te confido, non temerò il male; perché sei con me tu, che regni con Dio Padre e con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli”.
 
Egli chiede a Gesù, suo unico Signore, di avere da lui la forza di vincere la battaglia che stava combattendo. Quale battaglia? Non delle armi contro il governatore stesso e i suoi soldati. Egli vuol partecipare alla lotta e alla vittoria che Gesù aveva realizzato nella debolezza della croce e che era diventata anche lo scopo dell’esistenza di Ermacora.
 
Egli si sente un soldato ingaggiato per partecipare alla battaglia di Dio che Gesù ha portato tra gli uomini: è la battaglia dell’amore che riempiva il cuore del martire Ermacora e il suo diacono Fortunato.
 
L’amore che Gesù ha acceso sulla terra è l’unica potenza che ha sconfitto il male perché lo ha consumato su di sé, restituendo bene a chi lo insultava, perdonando a chi lo odiava a morte, donando la vita a chi gliela toglieva.
 
Ermacora prega nell’imminenza del martirio il suo Signore per aver la forza di partecipare alla sua battaglia dell’amore; chiede di avere la forza di continuarla fino alla fine e di spegnersi come Gesù nell’amore e per amore.  In questo modo egli si sente vincitore contro il male.
 
I santi Patroni Ermacora e Fortunato consegnano a noi questa testimonianza e ci invitano ad imitarla portando anche in questo nostro tempo la potenza straordinaria dell’amore di Dio che ha il volto e il cuore di Gesù crocifisso.
 
Per accogliere la loro testimonianza e sentiti i collaboratori, ho deciso che il prossimo anno pastorale 2014-15 sia l’Anno della Carità. Completiamo, in questo modo, un cammino iniziato con l’Anno della Fede, proseguito con l’Anno della Speranza e che avrà la sua meta nell’Anno della Carità.
 
Abbiamo urgente bisogno di riaccendere in noi e in mezzo a noi “la potenza straordinaria” dell’amore; di quell’amore che abbia la grandezza che Gesù ha vissuto ed insegnato e che i martiri hanno incarnato fino al dono della vita.
 
Mi permetto questo richiamo perché vedo il rischio non solo che cali in noi la forza di amare ma, addirittura, che dimentichiamo quale sia il vero amore. La tiepidezza del cuore oscura anche la mente dell’uomo e così non vede più i poveri che invocano, non capisce più come si rispetta la vita dal suo inizio al suo termine, non sa più orientare le energie affettive e sessuali verso l’amore fedele.
 
La potenza straordinaria che ha salvato e salverà l’umanità è l’amore che ha la sorgente in Dio e che Gesù riversa nei cuori di chi crede in lui.
 
L’Anno della Carità sia un tempo propizio per rinnovarci tutti e fare del nostro cuore una piccola ma fedele sorgente di amore.
 
L’amore è contagioso e tante fiammelle possono contribuire ad illuminare e riscaldare la nostra città di Udine e la nostra Chiesa diocesana.