Omelia in occasione della Santa Messa per il 40° anniversario del terremoto in Friuli – 5 maggio 2016

12-05-2016

Cari fratelli e sorelle,

«il Friûl al ringrazie e nol dismentee», «il Friuli ringrazia e non dimentica». Questa frase, apparsa sui muri delle case diroccate, ha espresso uno dei sentimenti più genuini del popolo friulano provato dal terremoto. È questo sentimento che ci ha riuniti anche oggi, a 40 anni dal tragico sisma, nel duomo di Gemona che conserva in sé tanti segni di quella tremenda distruzione e, insieme, è testimone della volontà dei friulani di rinascere dalle macerie con la testa e col cuore. Anche la sua riapertura al culto è stato un grande segno di fede e di speranza perché è avvenuta con la solenne celebrazione di ordinazione episcopale del suo parroco, mons. Pietro Brollo, per l’imposizione delle mani del compianto mons. Battisti.

 

A 40 anni di distanza la Chiesa friulana si è riunita ancora in questo duomo per ringraziare e non dimenticare. La Chiesa è Madre e, secondo le parola di Gesù ascoltate nel Vangelo, lungo la sua storia ha patito spesso i travagli del parto causati delle costanti persecuzioni e dagli inevitabili sconvolgimenti della natura, descritti dalla visione del libro dell’Apocalisse. Anche la Chiesa di Udine, lungo i tanti secoli della sua storia, ha attraversato tempi di travaglio e tale è stato il terremoto e il post terremoto di 40 anni fa. Una madre non dimentica mai il travaglio del parto perché è un momento straordinario che racchiude il mistero della morte e della vita. Così noi, che formiamo la Chiesa Madre di Udine, vogliamo ricordare il tempo travagliato del terremoto per non perdere un momento della nostra storia particolarmente denso di valore e di significato.

 

Lo ricordiamo qui nel duomo davanti al nostro Signore e celebrando la S. Messa, uniti al sacrificio di Gesù crocifisso e risorto. Attraverso la sua morte egli ci ha ridonato la vera vita e ha portato la luce della speranza dentro i momenti più oscuri della nostra esistenza.

Davanti, allora a Gesù crocifisso e all’altare in cui rinnoviamo il suo sacrificio di amore, i primi volti e i primi nomi che non vogliamo dimenticare sono quelli dei fratelli che, in quella tragica notte sono rimasti vittime sotto le macerie. Tra le lacrime e le preghiere delle esequie cristiane li abbiamo allora affidati alla misericordia di Dio. Continuiamo a farlo. Questa S. Messa è, prima di tutto per loro e per quanti di loro aspettano la nostra preghiera per essere pienamente purificati e accolti nella gioia eterna. La Chiesa, pur nel dolore del distacco, sa che la morte – per quanto  tragica – non ha il potere di strapparle per sempre i figli; come Madre amorosa li consegna a Gesù che ha vinto la morte per sé e per quanti credono in lui. Nell’Anno Santo della Misericordia, Dio Padre accolga tutte le vittime del terremoto in eterno in quella Comunione dei Santi che attende anche noi e che è la nostra speranza che non delude.

Un secondo grazie che non vogliamo dimenticare è per il vero miracolo di solidarietà che il terremoto ha acceso dentro la Chiesa italiana. Oltre 80 diocesi italiane si sono spontaneamente gemellate con le nostre parrocchie colpite dal sisma, offrendo aiuti di ogni genere. Abbiamo invitato queste Diocesi a partecipare con i loro Vescovi – o loro delegati – a questa S. Messa. Saluto e ringrazio i confratelli Vescovi che hanno voluto essere tra noi anche di persona e partecipare alla concelebrazione e, con loro, saluto tutti i qualificati rappresentanti che tanti altri vescovi hanno voluto inviare. Mi hanno colpito le lettere di risposta al nostro invito perché non contenevano frasi formali e di circostanza, ma manifestavano un ricordo ancora vivo della condivisione fraterna di cuori, di menti e di braccia vissuta tra le macerie del terremoto. Nella prima lettera ai Corinzi San Paolo dice che, quando ci sono comunità cristiane che fraternamente si aiutano, sale a Dio una eucaristia, cioè, una grande preghiera di ringraziamento. Ricordiamo, ancora una volta e  con riconoscenza, il miracolo di solidarietà umana e cristiana sorto in mezzo al terremoto; anche per questo celebriamo oggi la nostra eucaristia, la preghiera di lode a Dio Padre, in Gesù e per intercessione di Maria.

C’è ancora una terza esperienza – tra altre – che non vogliamo dimenticare e per la quale sentiamo un sentimento di gratitudine. Mi riferisco al cammino virtuoso di ricostruzione  su quale si è incamminata la Chiesa e il popolo friulano, partendo dal terremoto. Questo cammino è stato guidato dalla parola appassionata, familiare e, insieme, autorevole, del suo Pastore, mons. Battisti.  Tanti di voi la conserveranno ancora viva nelle orecchie e nel cuore; personalmente l’ho letta nei suoi tanti interventi di omelie e lettere pastorali.

È stata la voce del Pastore che sentiva, in un momento di tremendo disorientamento, la responsabilità di tenere uniti i suoi sacerdoti e i suoi fedeli cercando con loro e per loro un senso a quanto stava accadendo e mostrando una speranza. Per la sua onestà spirituale e intellettuale, mons. Battisti non si è accontentato di frasi fatte, ma ha fatto proprie le domande strazianti che le persone quasi gli gettavano addosso e ha cercato luce dall’unica fonte che conosceva: la Parola di Dio. Ha indicato una speranza affidabile per il popolo friulano rileggendo la storia travagliata e di salvezza dell’antico popolo di Dio.

 

Oltre che voce di Pastore, quella di mons. Battisti è stata anche la voce di un Profeta. Il profeta è colui che, illuminato dalla fede, cerca di intuire alla luce di Dio il senso profondo degli avvenimenti e lo indica ai fratelli. Nella lettera pastorale «Ti mostrerò le cose che devono accadere» scritta a vent’anni dal terremoto, mons. Battisti  si presenta come la sentinella di Dio evocata dal libro del profeta Isaia: «Mi gridano: Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?».  Quasi  nella solitudine della notte, questo amato vescovo è stato sentinella attenta e fedele per indicare al suo popolo la strada della piena ricostruzione. Questa ansia profonda traspare dal titolo della lettera pastorale del 1992: «Per un popul ch’al nol vueli sparì». Non voleva veder sparire il suo popolo. Non lo aveva visto sparire sotto le macerie del terremoto grazie ad una straordinaria capacità di ricostruzione.  Ma da sentinella capace di scrutare la notte, coglieva un’insidia più subdola che non attaccava la case e il corpo, ma l’anima del popolo friulano. Già in un’omelia del 1980 indentificava questa insidia nel secolarismo e nel consumismo capaci di sradicare «dall’anima di un Popolo valori profondi .. di sconvolgere la fede e l’anima più vera e profonda».

 

Confesso che rileggendo in questi giorni tanti interventi di mons. Battisti, mi sono reso conto quanto la sua voce di buon Pastore e di Profeta illuminato resti attuale anche oggi per la nostra Chiesa e il nostro popolo friulano.

 

Non dimentichiamola in questo 40 anniversario del terremoto mentre ringraziamo Dio di aver posto questo grande Vescovo a guidare il gregge di Cristo attraverso la prova del terremoto fisico e morale.  Egli, ora, è in comunione con noi e prega per noi. Come suo indegno successore, desidero ripetervi il suo invito accorato: «Vecje anime dal Friûl no sta’ murì».  Le anime si rigenerano dentro le chiese che così mirabilmente abbiamo ricostruito, come testimonia lo splendido duomo di Gemona. Continuiamo ad entrare nelle nostre chiese per far respirare l’anima con la preghiera. Educhiamo i nostri bambini e i nostri giovani a respirare questo ossigeno spirituale. E dal cielo mons. Battisti vedrà con gioia che vive e si trasmette alle nuove generazioni la grande anima del popolo friulano.

Duomo di Gemona del Friuli, 5 maggio 2016