Omelia in occasione della Santa Messa del Crisma (18 aprile 2019)

18-04-2019

Eccellenza, Confratelli Presbiteri, Diaconi, Seminaristi, Consacrate e Fedeli laici,

abbiamo ascoltato l’inno di lode e di gloria con cui inizia il libro dell’Apocalisse: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen».

Noi tutti, qui riuniti in cattedrale, facciamo parte di quel «regno di sacerdoti» che Giovani contempla nella sua visione. Su questo titolo vorrei soffermare la nostra attenzione. Esso indica la nostra carta di identità, ricevuta col battesimo, e la nostra missione che abbiamo a questo mondo.

Gesù si è interessato ad ognuno di noi fino a spandere il suo sangue, per liberarci dai peccati che sono la vera malattia spirituale che deturpa la nostra dignità personale e inquina i nostri rapporti con Dio e con gli uomini. Lasciati soli eravamo come pecore disperse nei deserti aridi del peccato. Gesù non si è rassegnato; ci ha cercati chiamandoci con la sua voce familiare e sacrificando tutto per attirarci a sé; ci ha battezzati nel suo sangue che palpita del suo amore che va oltre le misure e logiche umane perché ha le profondità del Cuore di Dio.

Con il suo sangue ci ha donato anche l’unzione dello Spirito Santo che lui aveva ricevuto dal Padre e ci ha resi partecipi del suo sacerdozio. Ognuno di noi è entrato a far parte di «un regno di sacerdoti».

Nella sinagoga di Cafarnao Gesù applicò a sé la profezia di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio».  Si presentò come il consacrato a Dio grazie all’unzione dello Spirito Santo. Questa stessa unzione la comunica a coloro che, credendo in lui, ricevono il battesimo e rinascono nel suo amore.

Tra poco benedirò gli oli che diventeranno così «oli sacri»: l’olio dei catecumeni, del crisma e degli infermi. Noi abbiamo ricevuto l’unzione con l’olio dei catecumeni e del crisma e qualcuno anche degli infermi. Attraverso questa unzione sul corpo, Gesù ci ha comunicato la sua consacrazione: siamo unti di Spirito Santo come Gesù, consacrati per essere «un regno di sacerdoti».

Cosa significa essere resi partecipi del sacerdozio di Cristo? Continuare oggi, in Friuli, la sua azione sacerdotale? Qual è la nostra missione a questo mondo?

Troviamo ancora la risposa nelle parole dell’Apocalisse: «Sacerdoti per il suo Dio, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli».  Essere sacerdoti come Gesù, con Gesù e in Gesù significa essere totalmente consacrati a Dio Padre; significa orientare tutta la nostra vita e ogni nostra azione a Dio, a lode e gloria del suo Amore infinito; significa, come Maria, cantare la lode e la gloria di Dio a nome di tutti gli uomini e di tutto il creato.

Cristo è il Sommo Sacerdote perché ha riorientato verso Dio Padre gli uomini che si erano disorientati a causa del peccato e a causa del peccato, avevano disorientato anche tutto il creato. Con il battesimo e l’unzione dello Spirito Santo egli si è creato un «regno di sacerdoti» che continuino la sua opera di riorientare alla gloria di Dio Padre i fratelli e tutte le creature.

Quanto bisogno abbiamo oggi di questo popolo di sacerdoti! L’Europa e anche il nostro Friuli sono una società disorientata; l’ago della sua bussola è impazzito perché non indica più il nord che è  il primo comandamenti: «Ama il Signore Dio Tuo con tutto il cuore e l’anima e a lui solo dà gloria». Da questo fondamentale disorientamento ne derivano tanti altri che stiamo patendo: su cosa sia la famiglia, sul rispetto della dignità della persona, sulla tutela dei piccoli, sulla sacralità delle vita umana, sulla giustizia sociale ecc.  E tante persone neppure si rendono più conto di quanto questo disorientamento abbia pervaso la mentalità comune, per altro non poco influenzata dai subdoli messaggi dei mezzi di comunicazione.

Mi tornavano alla mente queste constatazioni mentre osservavo le immagini del tremendo incendio della cattedrale di Notre Dame e le reazioni a caldo delle persone. Ho avuto l’impressione che questa improvvisa disgrazia toccasse in profondità le coscienze. Si avvertiva  uno sconcerto e una sofferenza collettiva che non nasceva solo dal veder bruciare un grande monumento storico. Era il cuore della Francia e dell’Europa che si risvegliava e risentiva le radici antiche della sua storia e della sua civiltà che si consumavano nel rogo di  Notre Dame, straordinaria testimonianza di una fede che era diventata arte e cultura.  Quella mirabile architettura era stata costruita per orientare tutto verso il cielo in un silenzioso inno di lode a Dio. Il fuoco inesorabile che la consumava mi richiamava un rogo ben più grave; quello che da tempo sta cancellando  nelle coscienze e nella società l’orientamento a Dio e alla sua gloria.

Una foto ha documentato ciò che è apparso agli occhi dei primi pompieri che si sono affacciati alla porta della cattedrale. In fondo nell’abside si era conservata la croce luminosa, l’altare, la statua della Madonna e le reliquie dei martiri. Ha commentato una donna: «È rimasta la concretezza della Presenza, unico fondamento di ogni ripartenza e di ogni ricostruzione». Partendo dalla croce, dall’altare, da Maria e dalle testimonianza dei nostri Santi, possiamo ritrovare l’orientamento che ci salva. È l’orientamento verso Dio e la sua gloria. Ma per far questo l’Europa e il Friuli hanno bisogno di un popolo di sacerdoti consacrati a Dio che con la vita testimoniano mostrando la strada verso Gesù e, in lui, verso il Padre. Dobbiamo essere noi questi sacerdoti perché abbiamo ricevuto la stessa unzione di Cristo, il suo Spirito Santo che orienta la mente e il cuore al Padre, insegnandoci a gridare: «Abbà, Padre».

Anche gli sforzi che stiamo profondendo nel progetto diocesano delle Collaborazioni pastorali avranno avuto buon esito se aiuteranno a risvegliare nella nostra diocesi cristiani e comunità con una fede viva, con un animo sacerdotale orientato a Gesù e al Padre con la gioia di cantare al loro Dio «gloria e potenza nei secoli dei secoli».

Il «regno di sacerdoti» che Gesù ha fondato nel suo sangue e donando il suo Spirito, ha bisogno, però, di essere guidato e nutrito da fratelli che hanno ricevuto un’ulteriore unzione sacerdotale: sono i vescovi e i presbiteri.

Concludo, allora, la mia riflessione rivolgendomi a voi, cari confratelli presbiteri. Con l’imposizione delle mani del vescovo e l’unzione col sacro crisma abbiamo ricevuto una particolare consacrazione dello Spirito Santo per essere totalmente di Cristo e a lui e solo a lui guidare i fratelli. Noi per primi dobbiamo ogni giorno riorientare l’ago della nostra bussola sull’unico riferimento della nostra esistenza e di ogni nostra azione: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, la mente e le forze».

Allora saremo veri sacerdoti che rendono presente Cristo e a lui orientano ogni fratello e sorella e ogni comunità loro affidata.

Preghiamo lo Spirito Santo e pregate anche voi, cari fedeli, perché noi, Vescovo e Sacerdoti, siamo guide sicure che vivono di Cristo e portano a Cristo per la gloria di Dio Padre. Preghiamo, in particolare, per i confratelli che festeggiano un significativo anniversario della loro ordinazione unendoci al loro canto di lode a Dio per la bellezza di essere stati chiamati a questa vocazione.

Ricordiamo  nella nostra preghiera e con vivo affetto i confratelli che non sono fisicamente tra noi perché l’età o la malattia lo ha loro impedito.

E sentiamoci in comunione viva, anche se non sensibile, con i confratelli che hanno varcato la soglia della morte e che continuano il loro sacerdozio intercedendo per tutti noi.

La Vergine Maria, Madre della nostra Chiesa, sia esempio fulgido di un’esistenza di consacrata che vive cosciente che tutto ha ricevuto da Dio Padre, specialmente il suo Figlio, e che tutto ridona a lui cantando: «L’anima mia magnifica il Signore. Santo è il suo Nome».

Giovedì Santo, 18 aprile 2019