Omelia in occasione del Corpus Domini (18 giugno 2017)

19-06-2017

Cari Fratelli e Sorelle,

abbiamo ascoltato nella lettura del Vangelo le parole di Gesù che sconcertarono i giudei che lo ascoltavano per cui tutti lo abbandonarono, tranne gli apostoli: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda».

 

Gesù ha amato noi, poveri uomini, senza trattenere nulla per sé. Sulla croce ha donato la sua carne, straziata dalla cattiveria umana, e il suo sangue fino all’ultima goccia e con la sua carne e il suo sangue ha donato tutto se stesso: l’amore del suo cuore, lo Spirito Santo che lo animava, la vita di Figlio di Dio che condivideva col Padre.

 

Sul suo corpo il male e la morte non hanno vinto, ma hanno vinto la Vita e l’Amore e Gesù è risorto da morte col suo corpo e ha voluto rimanere con noi tutti i giorni continuando a donarci, come annunciò ai giudei increduli, la sua carne e il suo sangue con il suo Amore, il suo Spirito Santo, la sua Vita di Figlio del Padre. È il dono dell’eucaristia che oggi, in modo particolare, celebriamo e adoriamo.

 

Nutrendoci, come potremo fare fra poco, del suo Corpo Gesù è in noi e noi in  lui. Noi lo accogliamo dentro il nostro corpo malato e lui ci guarisce grazie alla comunione con Lui, col suo Corpo santificato dall’Amore.

 

Il nostro corpo di tanto in tanto si ammala per qualche infezione fisica. È, invece, sempre malato a causa dei vizi che ci comandano e ci spingono a fare cattivo uso del nostro corpo. Credo non serva neppure fare esempi. L’ira nasce nell’anima e passa nel corpo con parole e gesti di aggressione verso un’altra persona. La lussuria è un bisogno interiore che ammala il corpo. La pigrizia o accidia è una specie di stanchezza interiore che poi appesantisce il corpo e fa venir meno agli impegni. Il nostro corpo, quindi, è malato a causa dei vizi che ci spingono a usare male di esso  e le conseguenze negative si riflettono sulle persone che hanno rapporti con noi.

 

Il sacramento principale che Gesù risorto ha affidato alla sua Chiesa è l’eucaristia nel quale egli stesso offre a noi la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda per guarirci nell’anima e nel corpo.

 

Oggi ogni cristiano ha particolarmente bisogno di partecipare alla S. Messa e di fare la comunione con Gesù mangiando il suo Corpo perché vive dentro un mondo difficile per coloro che desiderano seguire con fedeltà il vangelo. È continuamente presente la tentazione di seguire modi di pensare e di fare che si sono allontanati molto da ciò che Gesù richiede a chi vuol essere suo discepolo. L’anima può progressivamente e silenziosamente ammalarsi e perdere la delicatezza dell’amore vero, del rispetto dell’altro, della fedeltà verso coloro con cui ci si è impegnati con promesse, del gusto per le esperienze spirituali e per la preghiera. Di conseguenza può ammalarsi il corpo perché lo si usa solo per soddisfare piaceri egoistici suggeriti dai vizi capitali.

 

L’eucaristia è più che mai l’indispensabile Pane del cammino se non vogliamo venir meno lungo la strada; venir meno alla fede, alla fedeltà alla parola di Gesù, al dono di se stessi fatto nella vocazione al matrimonio o alla vita consacrata, all’impegno per servire con onestà e dedizione nella professione, nella politica, nel volontariato.

 

Preoccupa il calo, che registriamo in questi anni, di frequenza alla S. Messa domenicale. Sono convinto che questa è una delle cause dell’intiepidimento della fede, della debolezza dei legami familiari, del calo di nascite di nuovi figli,  di una certa flessione nel campo del volontariato.

 

Senza la comunione con Gesù nell’eucaristia non può restare vivo il rapporto di fede e di amore con lui e il nostro cuore e il nostro corpo non trovano più la forza di donarsi senza cedimenti.

 

Prima di donare il Corpo di Cristo nella comunione il sacerdote rivolge ai presenti queste parole: “Beati gli invitati alla cena del Signore!”. Accogliamo l’invito perché è Gesù stesso che ci attende per essere con noi e in noi ogni giorno; finché i nostri giorni saranno ed entreremo nella vita eterna.

 

 

Udine, 18 giugno 2017